Cento anni dopo la Grande Rivoluzione di ottobre (ma, in Occidente – con il calendario gregoriano – era già novembre!), lasciando sullo sfondo gli enormi problemi geopolitici e sociali che ne seguirono per la Russia, e per il mondo, vediamo con rapidi flash le conseguenze di quegli eventi per il Cristianesimo, ieri e oggi, in quell’immenso paese.
Un anno fatale per l’Ortodossia
Nel 1917 ci furono in Russia due rivoluzioni: quella del febbraio-marzo, e quella dell’ottobre. La prima, infine costrinse di fatto lo zar Nicola II ad abdicare: terminava così la dinastia dei Romanov, al potere dal 1613.
In Russia, Stato (Regno) e Chiesa (ortodossa), da sempre erano stati strettamente legati, come l’edera all’albero: non era possibile immaginare l’uno senza l’altra. Tuttavia, la loro “sinfonia” fu spesso stridente. Quando morì il patriarca Adriano, Pietro il Grande impedì la nomina del successore: così, a partire dal 1721, e fino al 1917 (dato che i successori di Pietro mantennero la sua decisione), la Chiesa russa rimase senza patriarca: il potere supremo fu messo nelle mani di un Santo Sinodo all’interno del quale decisivo era il procuratore – funzionario laico scelto dal sovrano.
Quando Nicola II uscì di scena, la Chiesa russa ne approfittò e, nell’estate di quell’anno, il Concilio di Mosca elesse un nuovo patriarca, Tikhon. Il quale, poche settimane dopo, dovette confrontarsi con i bolscevichi ormai al potere e, poi, con una Russia che, unita ad altre repubbliche, nel 1922 creò l’Unione sovietica. Per le religioni, e soprattutto per la Chiesa ortodossa, iniziò un periodo difficilissimo: decine e decine di vescovi e pope, e migliaia e migliaia di credenti ortodossi furono eliminati fisicamente. Tikhon, morì nel 1925, in circostanze non chiare; Stalin non permise la nomina del successore. Ma, dopo che nel 1941 le armate hitleriane invasero l’Urss, e il paese fu in pericolo, egli domandò ai pochi metropoliti superstiti di spronare gli ortodossi a porsi accanto all’Armata rossa per respingere i tedeschi. Essi lo fecero e lui, per ringraziarli, nel 1943 acconsentì all’elezione del nuovo patriarca, Sergio: e, da allora fino ad oggi, vi è stata normale successione.
“Protestanty” e “Sektanty”
La Chiesa ortodossa russa si è sempre considerata – e così si considera anche oggi – come “l’anima” del popolo russo; ma anche l’opinione pubblica, all’interno e all’esterno della Russia, spesso ha ritenuto, e ritiene, russo=ortodosso. Questa equivalenza, però, è del tutto fuorviante. Vi è, infatti, in Russia, una fortissima presenza di minoranze religiose, grandi e piccole: musulmane, buddhiste, ebraiche, cattoliche e poi luterane, riformate, battiste e altre. Insieme, circa quaranta milioni di fedeli. E vi sono molti atei.
Limitandoci alla Riforma, va ricordato che Mosca ebbe con essa, quasi da subito, contatti; alcuni studiosi ortodossi guardarono con simpatia ai “protestanti”; principesse tedesche nate luterane salirono sul trono degli zar. Si formarono – soprattutto nella zona confinante con Paesi nord-europei – comunità evangeliche che diverranno vigorose quando la Russia incorporerà, o dominerà, i Baltici e la Finlandia. In certi periodi ebbero vita relativamente facile, in altri subirono soprusi. Piena libertà l’ottennero solo nel 1905. Lo Stato e l’Ortodossia ritennero fosse opportuno etichettare e spartire questo mondo variegato in due tronconi: protestanty, le Chiese storiche; sektanty (sette) le altre. Va poi precisato che, nei primi anni dopo la Rivoluzione di ottobre, le Chiese battiste ebbero una relativa libertà, perché molti loro leader condivisero le idee socialiste; poi, però, anch’esse subirono un’aspra repressione.
Alla vigilia del crollo dell’Urss, tutte queste Chiese, nell’insieme, avevano circa 2,5 milioni di fedeli praticanti, più altri sei di persone in qualche modo legate ad essi. La “nuova” Russia, nata nel 1991 con il collasso dell’Urss, si proclamò Stato “laico”, garantendo la libertà religiosa: questa, però, è concreta per le religioni considerate “tradizionali” (Ortodossia, Ebraismo, Buddhismo e Islam), mentre è in vario modo limitata per tutte le altre, “non tradizionali”, e quindi per la Chiesa cattolica e per quelle della Riforma. Tali comunità religiose, per essere riconosciute dallo Stato, debbono registrarsi; è proibito loro comportarsi da “missionarie” e fare proselitismo.
In quanto ai Testimoni di Geova, nel luglio scorso, malgrado le proteste internazionali, la Corte suprema russa ha bandito le loro attività. Malviste, poi, sono le iniziative dei gruppi “evangelical” di origine statunitense e, soprattutto, sud-coreana, accusati di carpire con metodi spregiudicati la buona fede dei fedeli ortodossi.
Predominante è la Chiesa ortodossa che – secondo le varie fonti – rappresenta dal 42 al 70% dei centoquarantacinque milioni di russi; segue poi la comunità musulmana (venticinque milioni di fedeli). I cristiani sarebbero tra i cinque e sette milioni: in maggioranza legati alla Riforma.
Sebbene, ufficialmente, la Russia sia laica, oggi Putin – protestano le minoranze – favorisce soprattutto l’Ortodossia, considerandola un alleato essenziale per reggere il paese e custodire le radici del passato. Ed ebrei e musulmani, in Russia da secoli? Da parte loro, le Chiese evangeliche, hanno scarso appeal per il Cremlino; però, qualche esponente dell’intellighentzia, e gruppi di origine baltica o tedesca, le considerano il loro punto di riferimento spirituale.