Anche l’Africa ha la sua questione catalana. Facile il paragone con il tema di scottante attualità che sta scuotendo la Spagna e l’Europa intera. Ma in Africa le polizie purtroppo sparano. Si aggrava la crisi in Camerun, ed ora il rischio è di veder scoppiare un’ennesima guerra civile in una nazione africana. Il paese è frutto dell’unione di province francofone, la maggioranza, ed anglofone, la minoranza, queste ultime situate ad ovest, al confine con la Nigeria. Da anni le province un tempo inglesi si battono per una maggiore autonomia, in chiave federalista o indipendentista, e al contempo lamentano le discriminazioni patite, l’esclusione dai ruoli chiave della società, della politica. Nell’ultimo anno, a seguito di un ulteriore giro di vite in tal senso da parte del presidente di lungo corso Paul Biya, che guida il paese dal 1982, l’anno in cui l’Italia vinceva i mondiali di Spagna con i gol di Paolo Rossi giusto per capire quanto tempo è passato, le proteste e gli scioperi sono cresciuti in maniera esponenziale.
Il Primo ottobre, giorno in cui il paese ricorda il 56° anniversario dell’indipendenza del Camerun anglofono dalla Gran Bretagna ( le province francesi ottennero l’indipendenza un anno prima, nel 1960) si sono svolte manifestazioni molto partecipate, volte a proclamare l’indipendenza dell’Ambazonia (questo sarebbe il nome del nuovo Stato nelle intenzione dei separatisti), nome che deriva dalla baia, Ambas Bay, che viene considerato il confine fra i due Camerun.
Le forze dell’ordine hanno reagito con violenza e almeno 40 persone sono morte negli scontri, e centinaia sono stati gli arresti. Tutto ciò non fa che esacerbare gli animi e spingere anche i più moderati verso la causa dell’indipendentismo.
Le chiese protestanti, che nel paese sono numerose e fortemente radicate, tentano di far sentire una voce di pace, di dialogo. In particolare in questi giorni è stata la Chiesa presbiteriana in Camerun (Pcc), che è membro della Comunione mondiale di chiese riformate, a pubblicare una dichiarazione ufficiale che non esita a proporre soluzioni politiche alla crisi in corso. La necessità, si legge nel testo «è quella di adottare subito misure in grado di far ripartire il dialogo» Ecco come: «va creata immediatamente una commissione d’inchiesta indipendente che faccia luce sulle violenze commesse dalla polizia e punisca i colpevoli; le due regioni anglofone vanno demilitarizzate, devono cessare gli arresti arbitrari, i detenuti vanno liberati; tutti i membri delle nostre Chiese devono astenersi da qualsivoglia violenza e devono diventare strumenti di pace».
Come diventare strumenti di pace è spiegato poco oltre: «La chiesa presbiteriana è disposta ad assumersi l’incarico di costituire, insieme ai responsabili di tutte le altre chiese, una piattaforma aperta capace di giocare un ruolo di mediazione fra il governo centrale e i rappresentanti delle province anglofone».
La Comunione mondiale delle chiese riformate si è associata all’appello «delle nostre sorelle e dei nostri fratelli in Camerun». La Cevaa, la Comunità delle chiese in azione, a sua volta ha fatto proprio il testo e ha invitato le 35 chiese membro a impegnarsi sulla questione. La Cevaa conta fra i membri 3 chiese del Camerun, la Chiesa evangelica del Camerun, l’Unione delle chiese battiste del Camerun e la Chiesa evangelica luterana del Camerun, tutte con una lunga storia di radicata presenza nel paese, a partire dai primi decenni del XIX secolo. Protestante è la prima università del paese, fondata a Yaoudè. Battista era Joseph Merrick, il primo missionario a giungere nel paese nel 1844, che fondò le prime chiese nel sud-ovest del paese. La missione presbiteriana statunitense arriva invece nel 1871, proveniente dal vicino Gabon.