Atlas fa riferimento alla lunga catena montuosa dell’Atlante, lunga circa 1.000 km, che rappresenta un simbolico ponte geografico, quasi una continuazione naturale dei Pirenei che poi proseguono con le Alpi. La zona in cui si opera è quella dell’alto Atlante, a circa 60 km da Marrakech, zona con vette che superano i 4.000 metri. Snow sta, ovviamente, per neve, parola che indica bene l’attenzione per le altitudini e la natura sportiva, oltre che artistica del progetto. Now potrebbe invece ricordare l’azione che si propone Atla(s)now: essere nel presente sul territorio, agire e interagire totalmente con l’ambiente.
Angelo Bellobono è un artista e maestro di sci che da 7 anni organizza residenze artistiche con l’obiettivo di creare nuove sinergie a partire da un luogo geografico ben preciso, le montagne marocchine appunto, ma che vuole estendere e far crescere le esperienze maturate in quel contesto perché possano portare a nuove relazioni e nuovi sviluppi in tutta l’area del Mediterraneo.
Ecco la sua esperienza.
Questi due interessi, l’arte e la montagna, sono cresciuti insieme?
«In realtà hanno impiegato un po’ di tempo prima di fondersi completamente insieme perché, come in ogni settore, anche il mondo dell’arte a volte vuole una riconoscibilità. A differenza di quanto si può pensare, anche in questo campo, a volte, creare un po’ di confusione non è costruttivo: questa mia doppia identità veniva interpretata in modi diversi fino a quando, attraverso questo progetto, sono riuscito a fondere queste competenze insieme e a tradurle in un progetto compiuto e strutturato».
Perché parlare del Mediterraneo attraverso le montagne, anziché il mare?
«Per tante ragioni. Ovviamente per il mio legame particolare con l’ambiente, ma anche perché considero il Mediterraneo un grande lago circondato dalle montagne; i paesi del Mediterraneo hanno un’altezza media elevata. Se pensiamo all’Italia, che è posta proprio al centro, vediamo che rappresenta una terrazza naturale, un affaccio tra oriente e occidente che dialoga ad altezza d’occhi; ha l’altezza media di tutti i paesi che la circondano e così dialoga geograficamente con loro direttamente. Amo osservare il Mediterraneo dall’alto perché si riesce a vedere più lontano e anche perché per me le montagne rappresentano una specie di cerniera tra i popoli di questo mare/lago».
Attraverso questo progetto cosa ti sembra importante dire del Mediterraneo di oggi?
«Tutto parte dall’idea di utilizzare l’arte e l’attività in montagna come elementi di spiazzamento per spostarci dai luoghi comuni, dalle immagini stereotipate che abbiamo della vita di tutti i giorni. L’idea di un Marocco raccontato attraverso la neve e il ghiaccio può già rappresentare lo spiazzamento di un’idea comune riferita a un luogo. È un pretesto per provare a immaginare diversamente luoghi, persone e realtà».
Come si svolge il progetto?
«Si tratta di una residenza per artisti e per professionisti della montagna, guide alpine e maestri di sci che collaborano insieme con una sorta di appartenenza corporale al territorio. Attraverso la fatica condivisa si instaurano dei rapporti di profonda conoscenza, di profonda percezione e si riescono a condividere delle esperienze importanti. Per quanto riguarda l’arte nello specifico, gli artisti che vengono invitati in residenza trascorrono un periodo tra quelle montagne e si trovano a operare in un territorio piuttosto radicale sotto tanti aspetti, sia geograficamente, sia culturalmente, di sicuro fuori da quelle zone di comfort che ognuno di noi ha. C’è questa necessità di elaborare codici diversi per rapportarsi alla costruzione di un’opera e per rapportarsi alla comunità del luogo, cosa fondamentale perché ogni opera viene elaborata esclusivamente con risorse locali, attraverso dei workshop e attraverso una partecipazione condivisa. Si arriva a una fase che è una sorta di approvazione finale collettiva, che porta poi a proteggere quello che viene costruito».
Che ne è di queste opere realizzate durante le residenze?
«Nei vari periodi di residenza durante i quali si attivano diversi workshop, ogni artista sviluppa il suo lavoro a seconda delle sue capacità, peculiarità e del suo modo di relazionarsi ali altri. Come prodotto finale c’è sempre un’opera che poi va a localizzarsi o all’interno di un’associazione, o in un locale, o in una casa privata in un villaggio o all’aperto: oggi ci sono circa 12 opere realizzate sul territorio e fruibili attraverso dei trekking. Tutte insieme formano un museo diffuso sul territorio».