Ieri è morto per un cancro all’età di 88 anni Sumiteru Taniguchi, sopravvissuto al bombardamento atomico di Nagasaki, che aveva dedicato tutta la sua vita alla campagna anti-nucleare.
Il mondo era ammutolito dinanzi alla foto, scattata nel febbraio del 1946 da un fotografo della marina americana in visita ad un ospedale dove erano ricoverati dei sopravvissuti, che mostrava quel ragazzino sdraiato supino, con la schiena devastata da bruciature scarlatte.
In un’intervista rilasciata ad Associated Press, in occasione dei 70 anni dallo sganciamento della bomba atomica, Taniguchi ricostruiva i momenti in cui un bombardiere americano B-29 sganciò l’atomica sull’inerme città nel sud del Giappone. Taniguchi, allora sedicenne, stava andando al lavoro in bicicletta quando alle 15 la bomba esplose a quasi due chilometri da dove si trovava. Per tre giorni vagò per la città distrutta senza rendersi conto della gravità delle ferite sul suo corpo. In particolare sentiva fastidio sulla schiena e sulle braccia: era la sua stessa pelle che si era staccata a causa delle ustioni. Quando venne trovato dai medici, Taniguchi fu trasportato in ospedale, dove trascorse quasi un anno disteso supino mentre le sue ferite si rimarginavano lentamente. Rimase disteso per un periodo così lungo che le ossa di un suo braccio non si svilupparono nel modo corretto. Per tutta la vita gli è stato difficile respirare e parlare a causa della pressione sui polmoni delle costole rotte dall’onda d’urto, e ha dovuto spalmare una crema sulla schiena ustionata per limitare il dolore che la ferita continuava a causargli.
Dimesso dall’ospedale nel 1949, Taniguchi da subito si impegnò con altri sopravvissuti per l’eliminazione delle armi nucleari. Nonostante le sofferenze fisiche, ha viaggiato in diversi paesi del mondo come testimone di quella orribile pagina della storia umana che – lui ripeteva instancabilmente – non doveva più ripetersi. Nel 2010 Taniguchi, in quanto rappresentante della Confederazione delle organizzazioni per le vittime delle bombe atomica e a idrogeno (Nihon Hidankyo), partecipò alla Conferenza di revisione dell’Onu del Trattato di non-proliferazione nucleare. In quell’occasione, mostrando la foto del suo corpo devastato dalla bomba, affermò: «Non sono un topo da laboratorio, e non sono un reperto in mostra. Ma voi che siete qui oggi per favore non voltate lo sguardo da me. Guardatemi ancora una volta».
In un’intervista del 2003 disse di temere che soprattutto le giovani generazioni perdessero interesse per la lotta contro gli armamenti nucleari. «Voglio che le generazioni più giovani ricordino che le armi nucleari non salveranno mai l’umanità. È un’illusione credere che l’ombrello nucleare ci proteggerà».
Lo scorso luglio, Taniguchi aveva accolto con favore l’adozione del Trattato Onu che mette al bando le armi nucleari, pur definendolo «inutile a meno che ciascun Paese non compia uno sforzo per abolire le armi nucleari». In quella stessa occasione, preoccupato della progressiva scomparsa dei sopravvissuti, aveva dichiarato: «Mi chiedo che ne sarà del mondo quando perderà l’ultimo sopravvissuto dei bombardamenti atomici».
Perché la preoccupazione di Taniguchi non diventi un macigno sulle nostre coscienze, tocca alla memoria collettiva conservare vivo l’orrore causato dalle bombe atomiche che devastarono Hiroshima e Nagasaki, impegnandosi nella promozione della pace che – la storia lo testimonia ancora oggi – non è garantita da armi e conflitti.