Nuovo piano migranti in Francia, le critiche della Cimade
17 luglio 2017
Secondo il Segretario generale dell’organizzazione protestante di soccorso transalpina prevalgono scelte a corto raggio, senza prospettiva. La soluzione? I Corridoi umanitari
Traduzione da La Croix
Mercoledì 12 luglio il governo francese ha presentato il nuovo piano migranti. Per Jean-Claude Mas, Segretario generale della Cimade (l’organizzazione protestante d’oltralpe che si occupa di soccorso e assistenza in particolare dei migranti, ma non solo) il testo manca di una visione a lungo termine, risponde all’emergenza ma senza prospettiva.
Il piano migranti annunciato dal governo segna un cambiamento della logica che sta alla base delle politiche migratorie francesi?
«Niente affatto. Ci è stato presentato un piano simile al precedente. Si tratta di una politica frammentaria, basata sull’oggi, con poca prospettiva. Aumentano le risorse a disposizione ma manca una visione a lungo termine della questione migratoria in Francia. Prevalgono le scelte di fermezza, dissuasione ed espulsione rispetto all’accoglienza».
Verranno creati 7500 posti da qui al 2019 per i richiedenti asilo. E’ un numero sufficiente?
«E’ una buona notizia, ma i numeri restano bassi. Riconosciamo gli sforzi ma nel complesso prevale una logica che seleziona i migranti, rifiuta quelli economici a priori, mentre ogni storia è diversa dall’altra, andrebbe analizzata e non respinta tout court».
I tempi per la risposta ad una domanda di asilo dovrebbero scendere dagli attuali 14 mesi a 6. E’ un’ipotesi realistica ?
«Non abbiamo avuto notizie precise sulle risorse aggiuntive necessarie per sveltire le pratiche burocratiche. Questo è uno dei punti cruciali, e non è solo questione di fondi, ma anche di qualità del servizio offerto che tenga conto di criteri etici e di parità di trattamento dei richiedenti asilo. La riduzione dei tempi è buona cosa se non va a scapito di accompagnamento e qualità del servizio offerto».
Il governo ha dimostrato di voler sistematicamente espellere coloro che vengono rifiutati. E’ una misura che può concretamente essere messa in opera?
«Un certo numero di richiedenti asilo respinti non possono essere espulsi perché provenienti da paesi in crisi o in guerra. Anche se non sono personalmente perseguitati, corrono rischi seri in caso di ritorno al loro paese, e la Convenzione di Ginevra tutela questi soggetti. Recentemente persone di origine afghana sono stati prelevati, messi su un aereo e rispediti in patria. Come possiamo dire che oggi l’Afghanistan è sicuro per i propri cittadini? Si tratta di scelte che strizzano l’occhio all’opinione pubblica ma che non tiene in conto di poter condurre a nuove ingiustizie. Occhio non vede cuore non duole. Dobbiamo aver il coraggio di capire ciò e non negarlo. Dobbiamo fornire a queste persone alternative reali al rimpatrio, per non far loro ricominciare il percorso dal principio».
Quale approccio andrebbe adottato per rispondere alle sfide attuali?
«Andrebbero aperte vie legali di immigrazione per consentire alle persone di spostarsi in sicurezza. Inoltre la Convenzione di Ginevra va interpretata con maggiore flessibilità. Va poi semplificata l’elaborazione dei permessi di soggiorno. Infine non possiamo bloccare mesi e maltrattare le persone nei centri di detenzione semplicemente perché non hanno in mano i fogli giusti al momento giusto».