Trovarsi di fronte o all’interno dell’edificio maestoso di una chiesa, per un giovane, può essere un’esperienza fondamentale per la maturazione della sua fede. Lo sostiene la ricerca commissionata dall’organizzazione Hope Revolution, che riunisce diverse organizzazioni giovanili cristiane, che ha rivelato (tra l’altro) che in Gran Bretagna i giovani che si professano cristiani sono molto più numerosi di quanto si pensasse. Condotta dall’istituto di ricerca ComRes lo scorso dicembre, su un campione di 2000 adolescenti fra gli 11 e i 18 anni, è stata diffusa solo alla fine di maggio, dopo un ulteriore controllo dei dati e delle conclusioni, che apparivano sorprendenti.
La notizia, riportata dal Telegraph e da Anglican News, cita i dati secondo cui il 21% degli adolescenti si descrive come «attivo discepolo di Gesù», il 13% frequenta cristiani praticanti e un’analoga percentuale si sarebbe avvicinata al mondo della fede proprio grazie a una visita a una chiesa o una cattedrale, piuttosto che attraverso altre esperienza come parlare di fede con altri cristiani, andare a un matrimonio, frequentare un gruppo giovanile o corsi religiosi. Anche se per il 20% di loro è stata importante la lettura della Bibbia e per il 17% frequentare una scuola confessionale.
Per la Chiesa anglicana questa ricerca è stata un’autentica (e gradita) sorpresa, perché «significa un’autentica apertura e interesse verso la fede», come ha riportato il direttore dell’ufficio nazionale anglicano per l’evangelizzazione giovanile, Jimmy Dale, per cui è stato «un autentico shock», anche se già un’altra ricerca condotta recentemente da un altro gruppo giovanile, Youth for Christ, ha evidenziato dati analoghi.
Alla luce dei risultati, Dale ha riconosciuto che cose che sembravano superate e ormai logore si sono rivelate fra i metodi più efficaci di avvicinare le persone a Gesù, assai più di altri strumenti su cui la Chiesa anglicana ha investito di recente: gruppi giovanili, o la serie video Alpha Youth (la prima edizione è uscita nel 2013 e la seconda arriverà in ottobre).
Da qui la necessità di rendere i luoghi di culto più accessibili, più aperti: una sfida, in questi tempi di terrore, in cui la tendenza sarebbe esattamente l’opposto, quella di chiudere le porte a potenziali minacce esterne.
Non è difficile immaginare il potere evocativo di certe cattedrali anglicane, pensando a capolavori come quella di Canterbury: «Danno un senso di stabilità, ma anche il senso che la fede cristiana ha ispirato delle persone a costruire questi edifici straordinari», spiega John Inge, vescovo anglicano di Worcester, appassionato sostenitore di una maggiore apertura delle chiese, che osserva: «Le cattedrali sono i gioielli della corona, ma è assai probabile che questi giovani siano stati ispirati piuttosto da una delle chiese parrocchiali». Ed essendoci 16.000 chiese anglicane ancora operative, il potenziale appare davvero alto.
Passando alla realtà protestante italiana, ai suoi luoghi più significativi, ci si può domandare se è possibile fare un discorso analogo: si potrebbe condurre una ricerca simile a quella inglese, interrogando i più giovani per capire se e come ha «smosso» loro dentro qualcosa il trovarsi non solo nelle nostre «cattedrali», ma anche in luoghi carichi di storia e di immaginario, come il Ciabàs o la Ghieisa d’la tana, Agape o il tempio (vecchio e nuovo) di Prali. Così, di primo acchito, mi viene da pensare a una risposta decisamente affermativa.