Dei romanzi storici, almeno i migliori, si dice che la Storia con la «S» maiuscola, quella grande, corale, dei fatti e dati universali, si intreccia con la storia con la «s» minuscola dei singoli individui e del loro piccolo, spesso modesto quotidiano. Nel libro di Peyrot e Gnone* questo non succede perché tutto in quel terribile secolo, il 1600, nelle valli valdesi, anche il soggiorno nelle locande dopo il mercato, anche il miele degli alpeggi venduto in pianura, anche il bestiame, preziosissimo bene, anche le amicizie, gli amori e gli odi degli individui, tutto finisce per far parte della «grande» Storia. Secolo terribile ma anche fondamentale, in cui si combatterono e per fortuna spesso vinsero, le battaglie che lastricarono la strada che portò al lento ma inesorabile affermarsi di quelle libertà che oggi permeano le democrazie più avanzate e i loro sacrosanti diritti, troppo spesso dati per scontati.
Gianavello ci aiuta a capire che la libertà non nasce dal nulla e soprattutto non è gratuita. La si può nei migliori dei casi ricevere gratuitamente ma alle spalle ci sono dure battaglie, anche di sangue, di cui non si deve allentare la memoria, pena la perdita non solo della propria identità ma della libertà stessa. Oggi più che mai nella generale confusione tra notizie vere e false, invenzioni, calderoni dietrologici in cui siamo tutti chi più chi meno impeciati...
Il libro apre con uno squarcio su quel fatale 1655 – le Pasque piemontesi – con il «leone di Rorà» quasi mortalmente ferito, vegliato dai fedeli compagni d’arme e curato dalle donne altrettanto fedeli con preghiere ma anche erbe e pozioni. Giosuè Gianavello passa da coscienza a incoscienza, tra vita e morte, e non solo ripercorre il suo passato ma combatte tra la tentazione di arrendersi (l’Anticristo) e il dovere di restare fedele, non mollare, vivere e lottare.
Nel suo oscillare tra morte e vita riviviamo con lui episodi di infanzia e giovinezza – costanti nel suo carattere sono la fortissima fede, il profondo senso della giustizia, l’amore per il suo popolo e la sua terra e il disdegno per ogni giogo o intimidazione. Osservatore degli esseri umani, il futuro comandante è sempre sul «chi va là», attento a individuare spie, traditori, frati infiltrati e agenti provocatori che spesso attirano nei tranelli i suoi amici e compagni.
Non tutti i «Santi» sono santi...: anche in un popolo sopravvissuto per secoli a persecuzioni e massacri c’è chi è più pronto al compromesso, addirittura all’apostasia. E tutti a tempesta terminata vogliono voltar pagina, anche a costo di sacrificare il loro eroe, il cui esilio a Ginevra sarà il prezzo pagato in cambio della pace. Il «leone» giustamente diffida ed esorta alla vigilanza, ma i più preferiscono illudersi.
Due personaggi spiccano tra i tanti: il pastore, teologo e storico Jean Léger, caro amico e sostegno spirituale di Giosuè e Caterina, dolce compagna, amica, amante, descritta con leggiadria con pochi indimenticabili tratti. In seguito vi si aggiungerà Arnaud, il leggendario condottiero del Glorioso Rimpatrio degli esuli valdesi nelle loro Valli (1689), evento con cui si conclude la nostra storia.
Opera sobria eppure commovente, è chiaramente frutto di molta passione e coinvolgimento. Essendo un romanzo, non racconta i fatti storici per filo e per segno – nonostante le necessarie spiegazioni che si impongono qua e là pur senza appesantire il racconto – ma invita all’approfondimento dei grandi fatti e della Storia con la s maiuscola.
* B. Peyrot – M. Gnone, Gianavello bandito valdese. Torino, Claudiana, 2017, pp. 200, euro 14,90.