Appello contro il regolamento di Dublino da parte delle chiese svizzere
16 giugno 2017
Varie confessioni hanno sottoscritto il testo che chiede un applicazione meno rigida delle norme di rimpatrio
Le chiese riformate svizzere aderiscono alle iniziative volte a richiedere ai governanti europei di ripensare il regolamento di Dublino, che abbiamo un po’ tutti imparato a conoscere in questi anni e che norma le modalità di accoglienza e identificazione delle donne, degli uomini e dei bambini che giungono su suolo europeo perché in fuga da guerre o carestie.
Un testo in tal senso, nominato “Appello contro la cieca applicazione del regolamento di Dublino”, ha visto la luce a Ginevra all’inizio di quest’anno, su iniziativa di una serie di attori impegnati sul fronte della gestione della questione migratoria, da Amnesty International alla diaconia protestante svizzera (Eper), da Acat (Cristiani contro la tortura) a vari centri diaconali o teologici sia protestanti che cattolici, e poi partiti politici, organizzazioni culturali, molti privati cittadini.
Il documento è stato presentato nei giorni scorsi a Losanna, nel cantone del Vaud, a pochi giorni dal 20 giugno, la giornata mondiale del rifugiato, che in Svizzera verrà ricordata con moltissime iniziative questo weekend nelle sinagoghe e nei templi di tutto il paese. La Chiesa evangelica riformata cantonale del Vaud ha scelto questa occasione per sottoscrivere a sua volta l’appello. Un segnale chiaro da parte di chi opera quotidianamente anche su questo fronte, quello dell’accoglienza e della gestione di stranieri, in una nazione che è l’emblema stessa della coesistenza multiculturale.
Nella conferenza di presentazione i promotori si sono soffermati soprattutto sulle storture di un sistema che vede codici applicati, secondo i relatori, spesso in maniera eccessivamente burocratica e cieca.
Sono seguiti vari esempi a chiarimento: dalla separazione di una coppia con figlia piccola solo perché i due non sono sposati, agli afghani rispediti dalla Svizzera in Norvegia da cui se ne erano andati perché contrariamente alla confederazione elvetica lo stato nordico pratica i rinvii di profughi in Afghanistan. Ci sono poi i casi di importanti cure mediche interrotte per la necessità di rispedire il migrante nella prima nazione europea in cui è stato identificato, e ciò significa soprattutto Italia e Grecia, già provate da un alto flusso di arrivi da gestire. Una donna è stata nuovamente accompagnata in Italia, nazione in cui aveva subito una violenza sessuale, dei minori non accompagnati che erano stati accolti da una famiglia svizzera che stava preparando la domanda di adozione sono stati re-inviati in Spagna dove non hanno alcun contatto. E avanti di questo passo con casi in cui l’umanità viene messa all’angolo davanti alla rigida applicazione delle norme e dei regolamenti.
Intanto sabato 17 giugno a Ginevra i promotori saranno tutto il giorno presenti nel quartiere Pâquis, fra rue de Neuchâtel e rue de Berne, per sensibilizzare la popolazione sul tema. L’iniziativa è ecumenica e interreligiosa perché vi aderiscono le chiese protestanti, cattolica e la Federazione israelitica svizzera, in un segnale di unità che vale molto.
Chi volesse firmare l’appello può farlo qui.