L’urgenza di soluzioni radicali e tempestive di fronte ai disastri ambientali causati dai mutamenti climatici è tema su cui le chiese cristiane stanno investendo energie e risorse in maniera sempre crescente. La tutela del creato è riconosciuta come priorità assoluta, e non manca riunione o assise in cui i rappresentanti religiosi facciano sentire la propria voce in materia.
Ecco perché le decisioni dell’amministrazione statunitense di non rispettare gli accordi della Conferenza sul clima di Parigi 2015, la Cop21, hanno causato le reazioni preoccupate di varie denominazioni cristiane.
L’Act Alliance, la Federazione luterana mondiale e il Consiglio ecumenico delle chiese hanno scelto di pubblicare un documento comune per esprimere «profondo sgomento per una scelta che va nella direzione opposta a quella dell’impegno globale per la giustizia climatica. Affrontare le sfide sul clima vuol dire proteggere gli esseri umani, i loro luoghi di lavoro e vita e le economie dei paesi. Questa scelta è una tragedia, un’occasione mancata per mostrare una vera e responsabile leadership capace di pensare al futuro dell’umanità. Si tratta di una decisione moralmente ed economicamente non sostenibile».
L’attuazione degli accordi di Parigi sono l’unico modo, secondo le tre sigle, per allontanarci dalla minaccia del riscaldamento globale: «Mentre le temperature globali continuano ad aumentare, inondazioni e siccità sono sempre più comuni. I paesi più poveri saranno colpiti due volte: innanzitutto dalla mancanza di volontà da parte degli Stati Uniti di frenare le emissioni di carbonio e dalla prevista diminuzione di finanziamenti atti a supportare politiche energetiche “pulite”».
Dall’Inghilterra il vescovo anglicano Nick Holtam, a capo del dipartimento ambiente della Chiesa d’Inghilterra si dice «francamente molto turbato dalla decisione del presidente Trump di revocare l’impegno degli Stati Uniti. Il cambiamento climatico è una delle grandi sfide dei nostri tempi. C’è un forte consenso costruito fra le comunità di fede sulla tutela della nostra casa comune. La nostra è la prima generazione che non può dire di non conoscere l’impatto umano sui cambiamenti climatici. Come può il presidente Trump guardare negli occhi le persone più colpite, anche all’interno del suo paese, in cui gli eventi estremi si susseguono con frequenza sempre maggiore. Noi chiese abbiamo il compito di dire chiaro e forte il nostro no ad una politica che guarda al passato con atteggiamenti egoistici».
Sul fronte interno sono molte le voci di dissenso che si alzano contro le scelte del neo presidente Trump. Il vescovo Michael Curry, a capo della Chiesa episcopale degli Stati Uniti ha ricordato come «gli Stati Uniti sono stati fra i leader nella cura del creato attraverso gli sforzi messi in atto negli anni contro i cambiamenti climatici. Questo annuncio cambia ora questo ruolo di leadership. Malgrado ciò, molte aziende, stati, regioni, città, organizzazioni non governative e organi di fede come la Chiesa episcopale possono continuare ad adottare azioni audaci per affrontare la crisi del clima».
Il pastore Jim Winkler, già segretario nazionale della United Methodist Church e oggi presidente del Consiglio nazionale delle chiese Usa che raggruppa 38 denominazioni protestanti, anglicane, ortodosse, evangeliche per un totale di circa 45 milioni di fedeli, non usa mezzi termini: «Le stupefacenti proposte di bilancio del governo americano dovrebbero far fermare a riflettere qualsiasi cristiano. Miliardi di dollari di tagli al programma di sostegno alimentare e di cure mediche danneggeranno le famiglie già in difficoltà- Nel frattempo molti più soldi saranno spese per gli armamenti. Questo non è un bilancio cristiano. Eppure molte voci si levano in difesa di un simile progetto. Di fronte a tutto ciò abbiamo bisogno di rimanere uniti, cattolici ed evangelici, per far sentire più forte il grido di allarme, per evitare questo crescere delle ingiustizie e delle differenze sociali».
Herbert Nelson, pastore a capo del dipartimento “Testimonianza” della Chiesa presbiteriana negli Stati Uniti, che si occupa dell’implemento delle politiche di giustizia sociale, vede in questa scelta «una pesante battuta d’arresto per il nostro lavoro così come per quello di numerosi altri gruppi di lavoro ecumenici che da anni si occupano di giustizia climatica. Ma non ci faremo demoralizzare. Sono grato per il lavoro che la Chiesa presbiteriana ha fatto e continuerà a fare in materia, diventando interlocutori anche per il mondo politico, come testimonia l’attenzione con cui è stata accolta proprio a Parigi durante la Cop21 la nostra delegazione».