Sta suscitando clamore in Gran Bretagna e Irlanda il caso di blasfemia che ha colpito il famoso comico e attore inglese Stephen Fry. L’artista è stato infatti informato dalla polizia dell’isola di smeraldo di un’indagine a suo carico per alcune dichiarazioni rilasciate in uno show della televisione nazionale irlandese RTÉ nel febbraio 2015. In quell’occasione Fry, gay ed ateo dichiarato, ha risposto così al conduttore di un programma televisivo che gli chiedeva cosa avrebbe detto a Dio se avesse potuto incontrarlo: «Gli direi: il cancro osseo nei bambini, che cos’è questa cosa? Come hai osato creare un mondo in cui c'è una tale miseria che cade addosso alla gente senza colpa. Non è giusto. È una cosa profondamente malvagia. Perché dovrei rispettare una divinità capricciosa, malevola e stupida che crea un mondo così pieno di ingiustizia e dolore?». Fry ha poi aggiunto: «il dio che ha creato questo universo, se è stato creato da Dio, è davvero un folle, un maniaco, totalmente egoista». Queste dichiarazioni sono costate la denuncia di uno spettatore in base alla legge sulla blasfemia in vigore in Irlanda dal 2009.
Una denuncia di blasfemia in altri paesi, diciamo il Pakistan o l’Indonesia, sarebbe un fatto terribilmente serio, dalle conseguenze drammatiche. La stessa denuncia in Irlanda rischia di risolversi in una farsa (a parte i 25mila euro di multa previsti come pena massima) che evidenzia ipocrisie e contraddizioni tutte europee. La prima consiste nel fatto che Fry non è incappato nelle maglie di una vecchia legge dimenticata. Si tratta invece di un provvedimento recente, approvato dal Parlamento irlandese nel 2009 e che fino ad oggi non aveva colpito nessuno – Fry è il primo indagato in assoluto. La Costituzione repubblicana irlandese condanna la blasfemia ma non c’era mai stata una legge che ne definisse il reato: otto anni fa il legislatore ha sentito il bisogno di colmare questa lacuna definendo la blasfemia come la diffusione di «materiale grossolanamente offensivo e ingiurioso verso ciò che è considerato sacro da una religione, causando intenzionalmente offesa a un numero sostanziale di aderenti di quella stessa religione». In base a questa definizione è improbabile che Fry venga portato davanti a un giudice. Resta però il fatto che, sebbene tutti i partiti politici e le diverse chiese abbiano nel recente passato pubblicamente definito il riferimento alla blasfemia nella costituzione come un retaggio obsoleto, il legislatore abbia pensato bene di sfornare una legge sull’argomento nuova di zecca.
In ogni caso, sorprende il clamore suscitato dalle parole di Fry che si situano in una ben consolidata retorica della polemica tra cristianesimo e ateismo nella cultura anglosassone, almeno dagli anni Trenta quando si fronteggiavano G. K. Chesterton, inglese e cattolico, e G. B. Shaw, irlandese e ateo. Chi conosca l’apologetica cristiana dell’irlandese C. S. Lewis non può non ricordare cha davanti alla pretesa di Gesù di essere figlio di Dio, Lewis riteneva possibili due reazioni: o credere che egli fosse ciò che diceva di essere oppure ritenerlo un lunatico. Evidentemente Fry propende piuttosto per questa seconda ipotesi che, a leggere Lewis, una volta scartata la prima, rimane l’unica possibile.
In realtà, indagare Fry sarebbe un po’ come indagare il Roberto Benigni dei primi tempi, quello del film «Il pap’occhio». Entrambi sono dei comici molto noti ed entrambi fanno satira. Certo, rispetto all’irriverenza del comico toscano che alla fin fine si colloca non tanto contro ma accanto alla religione, Fry è molto meno disposto ad essere indulgente nei confronti del cristianesimo e a perdonare i suoi peccati, tra i quali– lui, gay dichiarato e protagonista di un famoso film dedicato a Oscar Wilde e al processo che dovette subire per il reato di omosessualità – quello di omofobia, ancora ben presente nelle comunità cristiane.