Alla fine di aprile l’USCIRF (la Commissione Usa sulla libertà religiosa nel mondo) ha pubblicato il suo rapporto annuale (scaricabile qui), nel quale sottolinea che la situazione internazionale della libertà religiosa sta peggiorando, per il numero e la gravità delle violazioni in ambito religioso ma più in generale per quanto riguarda la libertà di pensiero e coscienza. In molti paesi è sempre più rischioso non solo fare parte di una minoranza, ma anche cercare di cambiare religione, o dichiararsi ateo o agnostico.
Un significativo accenno al fatto che molte violazioni si nascondono dietro il paravento della «sicurezza nazionale», un’arma a doppio taglio, osserva la commissione, perché i governi, attraverso i loro sforzi che limitano la libertà di associazione ed espressione pubblica delle proprie opinioni, trasmettono un messaggio contraddittorio.
La Commissione ha il compito di porre i casi più gravi all’attenzione del presidente, del segretario di Stato e del Congresso Usa, ma anche di rafforzare la rete di sostegno alla libertà religiosa attraverso l’educazione, il sostegno ai diritti delle donne e delle bambine, la collaborazione con l’International Panel of Parliamentarians for Freedom o Religious or Belief, il supporto alle persone imprigionate per motivi religiosi o di coscienza (il rapporto presenta una decina di casi).
Sono una quarantina i paesi presi in esame, suddivisi in tre «livelli». Per ognuno di essi, dopo aver descritto brevemente la situazione del paese o dell’area, vengono fatte una serie di «raccomandazioni» al governo Usa, che vanno dagli accordi governativi e diplomatici, alla collaborazione con Onu, organizzazioni non governative locali e internazionali, a campagne di sensibilizzazione. Quindi si tratteggia nel dettaglio la condizione delle minoranze religiose o etniche, i conflitti religiosi presenti, infine si presenta la politica americana nell’area.
Al primo posto nella tragica classifica delle violazioni, designati dal Dipartimento di Stato con la sigla Cpc (Countries of particular Concern), ci sono Myanmar, Cina, Eritrea, Iran, Corea del Nord, Arabia Saudita, Sudan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan; seguono Repubblica centrafricana, Pakistan, Nigeria, Siria, Vietnam, e per la prima volta anche la Russia rientra fra i paesi che destano «particolare preoccupazione» per l’intensificarsi di gravi violazioni della libertà di religione con la messa al bando dei testimoni di Geova.
Il rapporto segnala anche, all’attenzione del Dipartimento di Stato, tre Epc (Entity of particular Concern): l’Isis (Stato islamico dell’Iraq e della Siria), i talebani in Afghanistan, al-Shabaab in Somalia.
Al secondo livello risultano due di questi paesi, Afghanistan e Iraq, mentre la Somalia rientra nella terza categoria, quella delle «regioni e paesi monitorati».
Tra questi ultimi, come del resto nei precedenti rapporti, c’è anche l’Europa occidentale. In particolare, la commissione è stata attenta alle restrizioni imposte dai governi riguardo ad alcune forme di espressione della religione (luoghi di culto, abbigliamento, simboli visibili, norme alimentari), all’uso del termine culto o setta per definire (in senso peggiorativo) alcune minoranze (vengono citati i Testimoni di Geova, Scientology, gli evangelicali, Hare Krishna), all’hate speech e al suo impatto negativo su una pacifica espressione (e convivenza) religiosa. «Le restrizioni governative alla libertà di religione», osserva il rapporto, «sono allo stesso tempo effetto e causa di un clima sociale di intolleranza verso i gruppi religiosi oggetto delle restrizioni, limitando la loro integrazione sociale ed educativa e le opportunità di lavoro». I gruppi religiosi più colpiti, dice il rapporto, sono ebrei e musulmani, con un aumento di episodi violenti nel 2016 e un alto tasso di emigrazione ebraica dall’Europa occidentale verso Israele (5000 persone nel 2016, 7900 nel 2015).
Sebbene il rapporto non citi esempi italiani, molti temi affrontati (dalla religione nelle scuole, alla costruzione di moschee, all’uso del velo, ai provvedimenti antiterrorismo…) sono di stretta attualità anche nel nostro paese.
Come conclude la Commissione nell’introduzione al Rapporto, «la libertà religiosa è un diritto umano fondamentale. Proteggere questo diritto ricade su ciascuno di noi, richiede che tutti i popoli, a prescindere dalla visione politica e dalla fede, si uniscano per combattere le persecuzioni religiose e lavorino per proteggere la libertà religiosa per tutti». Un monito sicuramente da accogliere, a partire dai primi destinatari del Rapporto.