«Almeno 652 bambini sono stati uccisi in Siria nel 2016, con un aumento del 20% rispetto al 2015», lo denuncia l’Unicef nel dossier «Hitting Rock Bottom» laddove, ricorda a Riforma.it il portavoce di Unicef Italia, Andrea Iacomini «le gravi violazioni contro i più piccoli, in un conflitto ormai giunto al sesto anno, hanno raggiunto il livello più alto mai registrato».
In questa drammatica situazione sono i bambini a pagare il tributo più alto. È così?
«Credo che ciò che sta accadendo in Siria sia il più grande fallimento della comunità internazionale degli ultimi settant’anni. Una guerra iniziata sei anni fa, una guerra che non si può semplicisticamente attribuire a una parte o dell’altra, una guerra dove non ci sono “buoni” e dove le responsabilità devono essere di tutti e, in mezzo a tutto ciò, vi è un popolo che soffre per una guerra che non voleva; una guerra per procura dove alla fine tutti sono scesi “in campo” e dove le più grandi potenze mondiali si sfidano come se giocassero a “Risiko”. Nel frattempo, i numeri del rapporto dicono chiaramente che è stato “toccato il fondo”, come recita il titolo del dossier: con oltre 5 milioni di rifugiati, di cui la metà bambini, per per non contare i morti. L’Unicef solo poco tempo fa decise di ricordare i morti e i bambini uccisi e le sofferenze di un intero popolo con una manifestazione denominata “Aleppo Day” e molto partecipata. In molti, quel giorno - era il 22 dicembre - ritennero che la guerra siriana fosse finita con “la presa” di Aleppo. Purtroppo non è stato così. La guerra non è finita, prosegue imperterrita, e causa la morte di migliaia di bambini, arreca danni fisici e psicologici e tutt'oggi 280 mila bambini sono ancora sotto assedio, tra ostilità e sofferenze che sembrano non cessare mai».
«Abbiamo toccato il fondo» è un titolo scelto solo per destare scalpore?
«Sembrerebbe, ma non è così. Dice chiaramente che “allarghiamo le braccia e non c’è più nulla da fare”. Oggi è così, perché ci troviamo di fronte a bambini arruolati come piccoli soldati da ben sei anni di questo conflitto; a bambini che soffrono quotidianamente perché mutilati da bombe e violenze; a madri che uccidono i propri figli per alleviare loro altre sofferenze. Eppure, ormai da sei anni, ricordiamo alla comunità internazionale che la situazione è drammatica e che i profughi sarebbero arrivati a numeri impressionanti, oggi milioni, e nessuno ci ha creduti. Poi, è esplosa la situazione sfociata nella "fuga" verso la rotta balcanica. Come possiamo non dire che abbiamo toccato il fondo è che siamo arrivati a un punto di non ritorno. Tutto ciò che potevamo fare l’abbiamo fatto, e ciò che ancora oggi possiamo fare continuiamo a farlo: aiutare dove è possibile con tutte le nostre forze chiedendo anche aiuto a tutti coloro che ci sostengono, sensibilizzando dove è possibile. Una cosa che però stupisce è il silenzio di chi si è sempre speso per la pace e in particolare in questa situazione non lo ha fatto, e con essi la politica che non ha mai invitato nessuno a scendere in piazza per sensibilizzare su una tragedia dei nostri tempi, non l’unica ovviamente che lo avrebbe meritato».
Mentre l’Unicef ricorda i sei anni di conflitto con un dossier dedicato alla sofferenza di tutta la popolazione colpita in Siria, alcuni quotidiani nazionali concedono spazio a Bashar Al Assad, intervistandolo. Cosa ne pensa?
«Questa domanda mi addolora. Oggi il popolo siriano non ha bisogno di riabilitazioni, perché quel che è accaduto al popolo siriano è sotto gli occhi di tutti, per mano di Assad e per “mano” di chi ha voluto contrastare Assad. Per mano dei ribelli o per “mano” dell’Isis. Quel che non si dovrebbe fare però, è tentare di scrivere una storia parziale perché sono troppi i morti, soprattutto i bambini, che devono pesare sulla coscienza di tante persone coinvolte e quelle di tutti noi. Credo che in tutta questa situazione ci siano solo colpevoli, nessuno può essere “riabilitato”».
Quali sono i dati del dossier e che ritiene più significativi?
«652 bambini sono stati uccisi - un aumento del 20 per cento dal 2015; 255 bambini tra essi, proprio nei pressi delle loro scuole o addirittura all’interno degli istituti; più di 850, solo nel 2016, sono stati reclutati per combattere in questo conflitto, più del doppio del numero di reclutati nel 2015. Sono stati compiuti 338 attacchi contro gli ospedali e contro il personale medico. E queste sono solo le cifre accertate, individuate, dunque indicative. 20mila sono i bambini morti dall’inizio del conflitto, accertati, ma potrebbero essere molti di più, anche 50mila».
Come e dove opera l’Unicef?
«Siamo presenti in 189 paesi nel mondo e in prima linea ovunque siano riscontrabili emergenze, Siria, Yemen. In Iraq, ad esempio, dove a Mosul è in corso un assedio di una ferocia inaudita e dove operiamo portando cibo e acqua, assistenza ai profughi con kit igienico sanitari e aiuti di prima assistenza occupandoci in particolare dei bambini. Oggi il nostro impegno è particolarmente indirizzato verso la più grave carestia che ha colpito l’Africa, una carestia che non si vedeva dal 1945 e che sta devastando la Nigeria, il Sud Sudan, la Somalia, lo Yemen. Una situazione gravissima anche per via dell’instabilità politica presente in quelle aree e che sta rischiando di far morire nell’immediato un milione di bambini. Non nascondo che abbiamo bisogno di aiuti. Oggi, 4 miliardi di fondi devono essere sbloccati alle Nazioni Unite e sono ancora fermi; se questi non potranno essere utilizzati sarà difficile poter intervenire in quelle zone come vorremmo. L’aiuto di tutti è più che mai è necessario, direi fondamentale».
Immagine: via Flickr - Bengin Ahmad