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Pentecoste: la musica, lo spirito e la Parola

Una riflessione sulla possibilità di rivolgerci a Dio con una spiritualità che affianca il volto razionale della teologia

Il racconto della Pentecoste, che leggiamo in Atti 2, ci sollecita a riflettere sul significato della musica nella vita della chiesa. Come molti altri testi biblici, anche questo è ricco di spunti musicali. La potente immagine risuona in modo efficace: «Improvvisamente si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso che soffia e riempì tutta la casa dov'essi sedevano» (Atti 2, 2); la potenza di questo suono, accanto all’immagine delle lingue di fuoco, è tale da provocare la glossolalia: «essendosi fatto quel suono, la folla si radunò e fu confusa, perché ciascuno li udiva parlare nel proprio linguaggio» (v. 6). Questa potenza musicale non è un’immagine nuova per la Bibbia: fin dall’Esodo, i grandi eventi biblici che indicano la relazione dell’essere umano con Dio sono spesso segnati da risonanze musicali. Scorrendo il capitolo 2 del Libro degli Atti, leggiamo quali effetti tale grandioso evento abbia prodotto nella formazione della comunità spirituale che chiamiamo Chiesa: essi sono essenzialmente insegnamento, comunione, atto liturgico, preghiera (Atti 2, 42), e il risuonare della tromba ci sembra possa accompagnare tutti questi momenti della vita della comunità.

Mediante la musica si può insegnare la Parola di Dio, come sollecitava a fare Lutero: essa è un linguaggio privilegiato per un’educazione alla fede che deve essere rivolta a tutti, non solo ai più acculturati. La musica può essere un forte elemento di comunione, che unisce la pluralità delle voci nella polifonia del canto, e questo non solo in senso materiale, ma anche come suggestione metaforica, come ben aveva notato Bonhoeffer in una lettera del 1944, immagine ripresa da Paolo Ricca in un testo del 1996 nel quale la polifonia è nuovamente citata come metafora della vita comunitaria e della stessa liturgia.
La musica è dunque atto liturgico essenziale, non mero riempitivo, e in esso esprime la preghiera, la relazione diretta del credente con Dio. Tutto ciò la Bibbia ci insegna a praticare con «letizia e semplicità di cuore» (Atti 2, 46). L’apostolo Paolo riprende queste indicazioni e le approfondisce, a esempio in Efesini (5, 18-19): «siate ripieni dello Spirito, parlandovi con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore».

La storia della Chiesa è stata però segnata spesso dal sospetto che la musica potesse avere un potere distraente, a fronte della necessità della comprensione razionale dei fondamenti della nostra fede. Questa è stata la preoccupazione della Chiesa Romana, che nel Concilio di Trento cercò di delimitare la straordinaria creatività musicale di quel tempo, riconducendola al principio vincolante della intelligibilità delle parole; e, in altra prospettiva teologica e con altri argomenti, questa era anche la preoccupazione del riformatore Calvino. Ed è interessante notare come entrambe queste indicazioni, che avrebbero potuto delimitare e sminuire il valore della creatività musicale, abbiano invece prodotto nuovi risultati eccellenti.

Ma l’antica riflessione di Agostino va oltre queste preoccupazioni, sa cogliere nel linguaggio musicale una potenza che va oltre l’obiettivo cognitivo e didascalico, per assumere un significato più profondo, nel definire quella spiritualità che non è possibile ricondurre unicamente alla comprensione razionale dei concetti teologici; e in questo modo egli ci riporta direttamente al cuore di questa immagine biblica, a quel suono potente che scuote le coscienze e permette ai fedeli di “comprendere oltre”: «Il giubilo è quella melodia, con la quale il cuore effonde quanto non gli riesce di esprimere a parole. E verso chi è più giusto elevare questo canto di giubilo, se non verso l'ineffabile Dio? Infatti è ineffabile colui che tu non puoi esprimere. E se non lo puoi esprimere, e d'altra parte non puoi tacerlo, che cosa ti rimane se non giubilare?» (Agostino, Commento al Salmo 32/33, in Enarrationes in Psalmos).

Tutto ciò non esclude assolutamente la possibilità che l’incontro tra musica e parola possa dare risultati efficacissimi, nel senso di un “risuonare” delle parole che proprio tramite la musica possono approfondire ulteriormente la propria capacità di trasmettere anche cognitivamente il messaggio che si vuole testimoniare. Le Cantate di Bach esprimono pienamente questo possibile equilibrio tra comprensione razionale e giubilo, tra l’intelligibilità del testo e il suo intrecciarsi in polifonie che lo trascendono, senza tradirlo.

Nel recentissimo incontro che si è svolto a Prali domenica 14 maggio, il raduno di circa ottanta cantori e cantore delle corali delle Valli, abbiamo percepito in modo diretto questi significati della musica nella liturgia, nella riflessione su tutto ciò che il canto e la musica significano, in una dimensione liturgica che assuma al suo interno la complessità dell’animo umano, la varietà del suo articolarsi, la pluralità dei bisogni, la risonanza simbolica ed anche inconscia di tutte le nostre esperienze: pensiamo a esempio ai disabili cognitivi e al loro diritto di condividere nella chiesa il messaggio della Parola di Dio.

Il messaggio della Pentecoste è un grande messaggio di speranza, al di là della nostra condizione, anche comunitaria, di peccato: e la musica ci è di grande aiuto nella comprensione razionale e simbolica della presenza dello Spirito Santo nelle nostre vite.

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