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Offrire a Dio un culto gradito

Un giorno una parola – commento a Ebrei 12, 28

Come sono grandi i suoi segni! Come sono potenti i suoi prodigi! Il suo regno è un regno eterno e il suo dominio dura di generazione in generazione
Daniele 4, 3

Ricevendo un regno che non può essere scosso, siamo riconoscenti e offriamo a Dio un culto gradito
Ebrei 12, 28


Rendere a Dio un culto gradito non è questione da poco. Seguendo la cronologia biblica, per esempio, il primo omicidio scaturisce proprio da questo problema: la difficoltà di Caino ad accettare che il culto del fratello gli era preferito. È uno scontro tra forme di sacrificio, nel nostro linguaggio possiamo dire, tra due forme diverse di religiosità, purtroppo non relegato a un passato remoto.

Pensiamo alla quantità di conflitti religiosi che hanno da sempre – e forse per sempre, potremmo amaramente constatare – insanguinato il nostro pianeta proprio nella convinzione che il culto di qualcuno fosse più gradito alla divinità di quello di qualcun altro… La questione sollevata dalla lettera agli Ebrei è veramente senza risposta e anzi è un monito a chi pensa che identità “mondana” e identità “spirituale” possano correre parallele, senza contaminarsi reciprocamente.

La lettera agli Ebrei invece propone qualcosa di diverso: spostare il punto baricentro della spiritualità dalla nostra azione a quella divina. È Dio che ci offre un fondamento stabile, un quadro di riferimento solido a cui affidarci; è a partire da questa constatazione che il nostro culto diventa una forma di sincera risposta. Ogni epoca, ogni cultura, addirittura ogni persona traduce poi in atto questa scoperta, balbetta la sua riconoscenza come può e come sa (o spera di sapere).

Ma il primo suono del nostro culto non può che essere espressione di gratitudine per quel che si è ricevuto, non per come si risponde a questo dono.

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