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Dio è presente nei nostri deserti interiori

Un giorno una parola - commento a Deuteronomio 32,10

Lo custodì come la pupilla dei suoi occhi
Deuteronomio 32, 10

Noi abbiamo conosciuto l’amore che Dio ha per noi, e vi abbiamo creduto. Dio è amore; e chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui
I Giovanni 4, 16


Nel suo cantico, Mosè ormai vecchio e prossimo alla morte, ripercorre il cammino che ha portato il popolo d’Israele dall’Egitto al Giordano facendo risaltare la fedeltà di Dio, nonostante l’infedeltà del suo popolo. Ricorda come durante i quarant’anni della peregrinazione nel deserto il Signore si è preso cura del suo popolo custodendolo come una pupilla del suo occhio. È una bellissima immagine, che più esprime la cura amorevole e protettiva con cui il Signore vegliava sul suo popolo.

Mosè è testimone dell’azione di Dio a favore del suo popolo nel deserto, un luogo dove regnano la precarietà e l’insicurezza: «Egli lo trovò in una terra deserta, in una solitudine piena d’urli e di desolazione. Egli lo circondò, ne prese cura, lo custodì come la pupilla dei suoi occhi». Proprio il deserto, luogo ostile alla vita umana, è il luogo dove Dio si rivela potentemente presente. E questo per due ragioni: prima di tutto, non c’è un luogo dove Dio sia assente, secondariamente dove Dio è presente anche il deserto fiorisce (Salmo 107, 35; Isaia 41, 18; 43, 19-20; 51, 3).

Eppure, il deserto, secondo il racconto dell’Esodo, è un luogo dove gli Israeliti avevano messo alla prova il loro Dio, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?» (Esodo 17, 7). Per questo il deserto indica metaforicamente lo stato d’animo caratterizzato da una profonda crisi esistenziale o spirituale in cui non si intravede alcuna speranza e tutto, compresa la fede, appare privo di significato. Il deserto, quindi, sempre metaforicamente, indica un luogo dove è possibile incontrare Dio o passargli accanto.

Nel suo cantico Mosè mette costantemente la fedeltà di Dio in contrasto con l’infedeltà del popolo. Per quanto riguarda Dio, dice: «È un Dio fedele e senza iniquità. Egli è fedele e retto» (32, 4b). E per quanto riguarda il popolo dice: «Hanno agito perversamente contro di lui; non sono suoi figli, questi corrotti, razza storta e perversa».

Risalendo all’inizio della storia d’Israele, Mosè collega la fedeltà di Dio all’elezione d’Israele: se Dio continua ad essere fedele ad un popolo così infedele è perché ha fatto di lui sua proprietà. Ma l’essere eletti da Dio da solo non basta, come non basta dichiararsi cristiani se alle parole non segue una vita che sia coerente con la fede che professata. Siamo anche noi invitati a riconsiderare il nostro passato per meravigliarci dell’opera della salvezza compiuta da Dio in Gesù Cristo in nostro favore, e per vivere nella riconoscenza verso di lui.

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