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Chiamate e chiamati a servire

Un giorno una parola – commento a Matteo 25, 40

Così parla il Signore degli eserciti: «Chi tocca voi, tocca la pupilla dell’occhio suo»
Zaccaria 2, 8

«In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me», dice Gesù
Matteo 25, 40


Sappiamo che la nostra fede cristiana è assolutamente inutile, ininfluente finché rimane un discorso puramente teorico, espresso solamente a parole senza che le nostre scelte e le nostre azioni ne siano influenzate di conseguenza. Sappiamo che da cristiane e cristiani, da persone che vogliono comprendere come condurre la propria vita a partire dall’insegnamento del loro Maestro, Gesù di Nazareth, il servizio al prossimo è parte integrante della loro vocazione.
Le parole che ci offre oggi l’evangelista Matteo ci spingono a riflettere sul nostro essere al servizio. Innanzitutto vediamo che qui non incontriamo un invito a darci da fare, a essere attivi e magari a preoccuparci quando temiamo di non fare abbastanza. Il servizio è importante nella nostra confessione di fede, ma talvolta c’è il rischio di viverlo come un’ossessione, come un irraggiungibile traguardo posto davanti a noi.
L’affermazione di Gesù spalanca invece davanti a noi un senso completamente nuovo al nostro servire. Ci ricorda che non esiste un servizio “religioso” e uno “laico”, un fare del bene gioioso e volontario con cui testimoniamo la nostra fede, separato da un farlo perché dobbiamo, perché siamo costretti. Ci racconta che il servizio nel Suo nome crea comunione, rapporti nuovi e fraterni dove prima non esistevano. Ci annuncia soprattutto che il servizio è allontanato dal campo del dovere e posto in quello del dono, di una nuova possibilità che ci viene offerta per grazia.
Il Signore ci chiama a dare valore al nostro servizio, non perché diventi motivo di vanto, ma affinché gli siamo riconoscenti, poiché confessiamo che anche in questo aspetto della nostra vocazione ci ha accompagnati e guidati.