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Stare costantemente in comunione con Dio

Un giorno una parola – commento a I Tessalonicesi 5, 16-17

In lui certo si rallegrerà il nostro cuore, perché abbiamo confidato nel suo santo nome
Salmo 33, 21

Siate sempre gioiosi, non cessate mai di pregare
I Tessalonicesi 5, 16-17

Buona norma sarebbe organizzarsi per pregare, se non incessantemente, almeno regolarmente. Non ce la facciamo neanche la mattina e la sera perché siamo troppo stanchi e non abbiamo tempo? Svegliamoci prima o andiamo a letto più tardi!

Pregare incessantemente però è ancora diverso. Pregare incessantemente non è facile, ma siamo chiamati a farlo. In che senso? Non si tratta di parlare ininterrottamente, di recitare preghiere senza fine, non c’entra il rosario. Non si tratta neanche della preghierina rapida, di quella citazione per chi me lo chiede, di quella liturgica che ripeto. Si può pregare in cento situazioni, quando si lavora, si cammina, quando si va a fare una visita, quando c’è un malato, quando siamo malati. Certo.

Prego spesso, ma devo confessare che non lo faccio incessantemente. Però vivo con Dio tutta la giornata; vivo in comunione con lui. Se non facessi riferimento continuamente a lui, finirei per basarmi sulle mie sole forze e sarei solo. Essere davanti a Dio, anche senza parlare ad alta voce, è una forma profonda di preghiera. Non formalità o ritualismo, dunque, ma comunione con Dio. E la preghiera diventa così fonte di serenità, perfino di gioia, secondo l’affermazione della lettera ai Tessalonicesi. Questo atteggiamento non sminuisce certo il dovere di avere un tempo apposito riservato in maniera specifica alla preghiera. Quindi, non cessiamo di pregare, ma preghiamo sul serio, con tutta la vita, concretamente, non solo a parole.

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