16 giorni per vincere la violenza
23 novembre 2022
Sempre più numerose nel mondo le donne che guidano le lotte per la libertà. Intanto nelle nostre città i delitti perpetrati da uomini non cessano: urgente una svolta anche culturale. Intervista a Gabriela Lio, presidente Fdei
“16 giorni contro la violenza” è una campagna internazionale annuale che inizia il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, e termina il 10 dicembre, Giornata dei diritti umani. Nel nostro Paese, aderisce alla campagna da diversi anni la Federazione delle donne evangeliche in Italia (Fdei), realizzando il quaderno «16 giorni per vincere la violenza»: un percorso simbolico di accompagnamento, giorno dopo giorno, verso una maggiore consapevolezza sulla violenza contro le donne. Quest’anno il fascicolo – distribuito in formato cartaceo come supplemento del numero di Riforma della settimana scorsa – è intitolato «Donne sotto attacco, coraggiose e ribelli», e dedicato alle donne iraniane e afgane e alla loro coraggiosa ribellione contro regimi ispirati al fanatismo religioso. Perché questa scelta? Da questa domanda è iniziata la nostra conversazione con la pastora Gabriela Lio, presidente della Fdei.
«Perché assistiamo alla coraggiosa battaglia per i diritti di donne sempre più numerose che decidono di scendere in strada per difenderli mettendo in pericolo la propria vita. Le donne afghane rappresentano oggi la situazione estrema di unfondamentalismo che si espande a macchia d’olio nel mondo. Il 17 agosto 2021, subito dopo la presa di Kabul da parte dei talebani, le donne sono state costrette a rimanere a casa, private del diritto allo studio, al lavoro e di molti altri diritti nel giro di poche ore. I riflettori sulle donne afghane non possono e non devono spegnersi. Così come va mantenuta alta l’attenzione sulle proteste in corso in Iran scatenatesi a seguito dell’atroce uccisione della giovane Masha Amini. Diverse donne afghane attiviste per i diritti umani sono nostre amiche e sorelle, così come lo sono le donne iraniane che conosciamo e che vogliano sostenere nella loro battaglia».
– Dal caso specifico delle donne afgane e iraniane, lo sguardo si allarga alla realtà delle donne e dei loro diritti che sono sotto attacco anche nelle società occidentali più progredite. Cosa sta avvenendo?
«Da tempo le studiose affermano che siamo dinanzi a una nuova forma di neo-patriarcato, a una delle ulteriori metamorfosi della legge del padre e del patriarcato che esercita il suo dominio sulle donne indirettamente mediante le forme specifiche del sistema capitalistico. Il momento attuale è di grande complessità e ambiguità. Le studiose femministe lamentano una regressione nelle conquiste femministe a livello di diritti e di pratiche. Di conseguenza, questo impedisce alle nuove generazioni di donne di avanzare nelle loro richieste di riconoscimento e rappresentanza proprio perché sono impegnate a lottare per non perdere i diritti acquisiti. I ricorrenti tentativi di tornare indietro rispetto alla legge 194, di impedire il ricorso alla RU486 e le vicissitudini della legge 40 (2004) confermano e testimoniano l’interesse dello Stato a mantenere fermo un controllo sul corpo femminile, al fine di continuare a determinare lo spazio del lecito e dell’illecito in materia di genitorialità e famiglia. Dobbiamo vigilare anche oggi in Italia su una possibile regressione delle conquiste femministe dei diritti acquisiti».
– Da molti anni le chiese evangeliche sono impegnate nella lotta contro la violenza maschile. Tanti i passi importanti fin qui fatti, eppure a volte si ha l’impressione di dover cominciare tutto daccapo…
«È vero, notiamo questa situazione da vari anni. Finché i nostri fratelli nella fede non si uniranno consapevolmente all’impegno per lottare insieme a noi e non affronteranno con coraggio una riflessione sul genere maschile e la violenza maschile sul corpo femminile, non vedremo il cambiamento da noi auspicato nella chiesa e, attraverso la testimonianza evangelica, nella società tutta. Il lavoro di rilettura delle Scritture fatto dalle teologhe femministe non viene preso nella dovuta considerazione da parte dei colleghi e teologi. Ciò dispiace soprattutto perché la riflessione teologica femminista parte dal corpo, dalle sofferenze e dalle speranze delle donne. Noi però continueremo a chiedere una maggiore partecipazione e coinvolgimento dei nostri fratelli».
– L’ultima tappa del percorso dei 16 giorni è dedicata al femminicidio: sono ad oggi 96 le donne uccise per mano di un uomo (dati aggiornati su femmincidioitalia.info), e il numero è tristemente destinato a crescere. Come si può fermare questa strage?
«La strage è globale. A causa della carenza di dati affidabili, i femminicidi restano un fenomeno sottovalutato nella maggior parte dei Paesi. Sappiamo però che nel 2020 i femminicidi nel mondo sono stati 81.000. La strage non si fermerà se non si imposta il problema culturalmente, promuovendo una cultura di genere intesa come relazione e rispetto delle differenze, del riconoscimento dell’altro e dell'altra e della non-oggettivazione della persona. Ma non possiamo attendere i tempi di una trasformazione culturale, che sarà inevitabilmente lenta; nel mentre dobbiamo agire per non favorire l’indifferenza o “il non mi riguarda”. La Fdei ritiene che siano necessari interventi integrati tra le varie istanze (sistema educativo, ambito lavorativo, istituzioni, associazioni) mediante una politica del coinvolgimento e della partecipazione e del dedicare cospicue risorse economiche. Occorre promuovere progetti nelle scuole mettendo in rete anche le nostre competenze di donne evangeliche, nella consapevolezza che le religioni con i loro silenzi – consapevolmente o inconsapevolmente – sono complici».
– Ogni giornata del percorso si chiude sempre con l’invito alla preghiera. Cosa motiva questa scelta?
«Preghiera e fede viva e vissuta sono in un rapporto inscindibile. La preghiera è una necessità vitale. Non solo dobbiamo lottare ma anche pregare con audacia per la giustizia, la pace e i diritti. Chiedere a Dio e non esitare a insistere, con lo stesso coraggio della fede delle donne che nelle piazze chiedono pane, lavoro e libertà con loro e per loro. Il coraggio che nella preghiera comunitaria conduce altri e altre a non lasciar perdere e diventa impegno e solidarietà».