Migrazioni, incroci complessi
08 novembre 2022
Le navi delle Ong non possono fare sbarcare tutti i loro passeggeri; intanto viene rinnovato il memorandum Italia-Libia. Il punto con Marta Bernardini di Mediterranean Hope (Fcei)
Risale a più di una settimana fa la direttiva del ministero dell’Interno che intima alle navi umanitarie di non avvicinarsi alle acque territoriali italiane. La Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) sin dal 2014 presiede un “Osservatorio sulle migrazioni” a Lampedusa. Chiediamo dunque a Marta Bernardini, coordinatrice del programma rifugiati e migranti “Mediterranean Hope”: qual è la situazione attuale degli approdi?
«Ciò che vediamo come chiese protestanti a Lampedusa è un dato certo: le persone continuano ad arrivare via mare e principalmente dalla rotta libica e da quella tunisina. Dall’inizio del 2022 sono approdate a Lampedusa circa 35.000 persone, cifra in linea con gli anni precedenti. Ciò che maggiormente colpisce sono le condizioni con le quali le persone raggiungono l’isola. Chi arriva dalla Libia presenta uno stato fisico-psicologico grave, con visibili segni di violenze. Siamo consapevoli di quanto accade in Libia, una situazione indecente e raccapricciante, dove i diritti umani vengono quotidianamente calpestati. Situazione analoga per chi giunge dalla Tunisia, che raccoglie persone in fuga da altre aree di crisi. In questi ultimi giorni, poi, il maltempo ha messo ancora più in difficoltà le persone soccorse dalle navi delle Ong, e il governo italiano ha permesso lo sbarco solo di alcuni, come se non fossero tutti vulnerabili».
– Parliamo di donne, bambini e malati gravi. E tutti gli altri?
«Ci auguriamo, mentre parliamo, che la situazione possa cambiare e che l’approdo verso porti sicuri possa essere concesso a tutti. Purtroppo, per capire la gravità della situazione dobbiamo segnalare che tra gli arrivi a Lampedusa di questi ultimi giorni c’erano anche i piccoli corpi di quattro bambini morti durante la traversata. Continuiamo a vedere troppi morti. Una situazione che produce indignazione e tanta rabbia. È immorale dover veder morire ancora così tante persone nel Mediterraneo».
– Lo scorso 2 novembre (come previsto dall’art. 8) il Memorandum Italia-Libia si è rinnovato automaticamente per altri tre anni. In passato la Fcei aveva aderito a un appello lanciato da diverse organizzazioni e associazioni per chiederne la sospensione...
«Sì, è vero. Anche quest’anno la Fcei ha aderito all’appello per chiedere la sospensione del rinnovo del Memorandum Italia-Libia. E solo qualche giorno fa eravamo in piazza con molte associazioni – Emergency, Medici senza Frontiere, Amnesty International... – e tante persone sensibili al tema per ribadire il nostro impegno contro quest’accordo. Sappiamo bene che cosa accade in Libia, un uso sistematico della violenza, è la corruzione a dettare le regole. Riteniamo inaccettabile che l’Italia continui a finanziare la cosiddetta “guardia costiera libica” e a stipulare accordi con un paese considerato non sicuro. La posizione delle chiese protestanti è molto chiara: il Memorandum del 2017 viola i diritti umani: si sono succeduti diversi governi ma mai nessuno ha deciso di modificare quest’intesa».
– La Fcei, insieme alla Comunità di sant’Egidio e alla Tavola valdese, è stata promotrice dei primi “Corridoi umanitari”: può fare un bilancio dell’iniziativa?
«I Corridoi umanitari sono una pratica sicura e legale nata per far arrivare [attraverso voli di linea e visti umanitari, ndr] le persone in Italia. Dal primo protocollo, firmato nel 2015, sono giunte nel nostro Paese quasi tremila persone; molte di più se consideriamo i protocolli sottoscritti da altre organizzazioni con il governo italiano. Questo è un “modello” nato per far partire le persone in stato di vulnerabilità in sicurezza e grazie a tre protocolli con partenze diverse: dal Libano, dalla Libia e l’ultimo per le donne afghane e per uomini e bambini afghani grazie al passaggio dall’Iran e dal Pakistan. Oggi possiamo dire che è possibile accogliere persone nella legalità e farlo in tutta sicurezza. I Corridoi umanitari sono vie legali e sicure d’accesso in Italia, una realtà piccola ma importante. Le chiese sono state capaci di mostrare una strada percorribile e auspichiamo che anche i governi possano replicare l’esperienza dei Corridoi umanitari. Il Governo italiano e l’Unione europea dovrebbero immaginare nuove vie legali di accesso».
– Le recenti crisi come la pandemia, le guerre, l’invasione dell’Ucraina, hanno in qualche modo rallentato il vostro impegno?
«Sin dall’inizio dell’invasione in Ucraina abbiamo detto che per noi non devono esserci rifugiati e profughi di serie A o B. Siamo convinti che tutte le persone in difficoltà abbiano il diritto di essere accolte, di godere pari dignità, soprattutto se fuggono da guerre e da persecuzioni. In questi ultimi anni siamo riusciti a portare avanti diversi progetti d’accoglienza per i profughi. Non possiamo nasconderci che le sfide sono oggi molteplici».
– Oggi Mediterranean Hope (Mh) opera su vari fronti. Ci sono novità da segnalare?
«La forza del progetto Mh è proprio quella di saper leggere i segni dei tempi, di saper guardare con attenzione la realtà e i cambiamenti alle frontiere; questo ci permette di poter essere in tanti luoghi di confine, come la rotta balcanica a Bihac, al confine con la Croazia, dove tante persone cercano di varcare la frontiera per raggiungere l’Europa, ma anche in Italia, in Calabria, dove nelle campagne ci sono tantissimi lavoratori braccianti sfruttati».
– Oggi la crisi globale è il preludio di un ulteriore e sensibile aumento di migrazioni. Quali sono le previsioni e quali le soluzioni possibili a un fenomeno non “emergenziale”, bensì sostanziale?
«Il fenomeno migratorio è in costante aumento per le tante crisi legate tra di loro; devono essere legati anche gli sforzi per leggere quello che accade. L’approccio al tema dev’essere dunque “intersezionale”, ossia, unire molte lotte: la crisi climatica, la violazione dei diritti, la violenza sul corpo delle donne, la crisi economica e del sistema lavorativo, quella dello sfruttamento; servono nuove prospettive, nuove pratiche condivise. A situazioni complesse non è possibile dare risposte semplicistiche, è necessario proporre ragionamenti articolati e sul lungo periodo. Come credenti e in quanto persone che vivono in una posizione di privilegio, dobbiamo sempre ricordarci che ogni individuo ha il diritto di spostarsi, di autodeterminarsi e di poter scegliere il proprio futuro».