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Che cosa serve per fare bene il giornalista?

Sesta edizione, a Torino, del premio intitolato a Vera Schiavazzi

Salone stracolmo al Circolo dei Lettori di Torino il 25 ottobre per la sesta edizione del premio intitolato a Vera Schiavazzi (1960-2015), inserito all'interno delle giornate del Premio Roberto Morrione per il giornalismo investigativo: amica e sorella, giornalista di vocazione e identità, purtroppo mancata ancora giovane, sul lavoro, mentre faceva un’inchiesta, e sono già sette anni. «Ho perso una figlia», ricordo che disse con dolore come tra sé e sé Giorgio Bouchard, seduto nella poltrona delle sue letture, meditazioni e... telefonate. Sì, perché aveva seguito passo passo per anni il complicato percorso di fede di una donna che proveniva da tutt’altre esperienze e da un’educazione famigliare assolutamente laica: era tabula rasa, dal punto di vista della conoscenza della Scrittura. E fu molto commovente la sua professione di fede nella chiesa valdese di Susa, di cui Giorgio Bouchard allora era pastore, quando scelse di essere battezzata insieme ai suoi due bambini, e parlò, davanti a una platea di amici giornalisti invitati, della vocazione di Samuele (I Sam.3,1-21): «Rispose: “Eccomi!”».

E la combattiva vocazione che Vera attuava “nel mondo” era – attraverso il suo mestiere – cronaca, ricerca e testimonianza di verità, scrivendo anche tante volte negli anni sulle pagine di Riforma. La sua vita ben vissuta è stata ricordata non solo da molti interventi – tra cui quello del presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte Stefano Tallia e dell’amica di sempre Simonetta Rho, giornalista del Tg3 cultura – ma soprattutto dalla presenza di tanti giovani, nonché dalla passione con cui i figli, Davide e Olga, ormai ragazzi e abituali frequentatori del centro ecumenico Agape (Prali, val Germanasca), hanno partecipato ai lavori del Premio. I due impegni più importanti nella vita di Vera – che scrisse con i suoi ritmi vertiginosi su La Gazzetta del PopoloLa Repubblica e Il Corriere della Sera” – furono l’Ordine e il sindacato (l’Associazione Stampa subalpina, sulla cui storia si laureò alla Facoltà di Scienze Politiche, nell’anno accademico 1998-1999, tesi poi edita dal Centro studi sul Giornalismo Gino Pestelli*) e soprattutto il “Master” di Giornalismo che lei fondò a Torino nel 2004, e che diresse fino alla fine.

Tutte giovani donne, impegnate nel giornalismo come Vera, le vincitrici del premio; tre le “menzioni”: a Sara Iacomussi, Giulia Destefanis e Adele Palumbo. Applauditissima anche la vincitrice, Giulia Ricci: «Pronta a mettersi sempre in gioco, senza paura di osare, verso nuove storie e nuovi luoghi da scoprire, con curiosità e capacità, dedizione e un punto fermo: custodire il proprio sogno e fare, davvero, ogni cosa per provare a realizzarlo, come Vera Schiavazzi ha insegnato a molte persone».”

La preoccupazione per la formazione dei giovani concludeva le ultime righe del saggio di Vera sulla storia del Sindacato: «La categoria dei giornalisti non pare – oggi – particolarmente propensa ad investire idee ed energie sui propri futuri professionali», osservava, e poneva la domanda cruciale: «Che cosa serve per fare bene il mestiere di giornalista?». Il percorso professionale di queste giovani colleghe mi pare già una risposta.

* V. Schiavazzi, Dalla parte dei diritti – Un secolo di Stampa subalpina- Il sindacato dei giornalisti piemontesi”, Edizioni Effedì, 2016.

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