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La crisi climatica che manca dalla politica

Una petizione per mettere il clima al centro dei programmi elettorali ha raccolto quasi 200mila firme. L’intervista allo scienziato del clima Antonello Pasini

Nel momento in cui scriviamo, sono 190mila le firme raccolte per Un voto per il clima, una petizione online lanciata da Green&Blue Gedi basata su una lettera, che vede tra i firmatari una lunga lista di ricercatori e rappresentanti della comunità scientifica.

L’appello è rivolto a tutte le forze politiche impegnate nella campagna elettorale per le elezioni del 25 settembre, trasversalmente. Si chiede di mettere l’emergenza della crisi climatica al primo posto dei propri programmi elettorali.

«La lettera nasce all’interno della Società Italiana per le Scienze del Clima» ci ha raccontato Antonello Pasini, scienziato del clima del CNR intervistato nella trasmissione Cominciamo Bene di RBE. Tutti vedono, ci racconta, che questo problema non è destinato soltanto alle future generazioni. Mai come ora una campagna elettorale si svolge sullo sfondo dei terribili effetti della crisi climatica: il Nord Italia è alle prese con una siccità come non se ne ricordavano, tutt’altro che mitigata da alcuni violenti nubifragi, avvenuti anche al Sud, portatori di danni ingenti. L’ondata di calore ha interessato tutta la penisola per buona parte dell’estate. Anche gli incendi hanno colpito numerose zone del paese, anzi: del continente.

Eppure continua a sembrare sfuggente un elemento ormai indiscutibile: la crisi climatica e ambientale non sono soltanto un problema per “la natura”, ma per noi. Il pianeta nel suo complesso, dice anzi Pasini,  in qualche modo si rigenera; pur soffrendo molto a causa nostra. Ma la specie umana, organizzata in una società così complessa, non è altrettanto resistente.

Nella lettera si pongono due temi fondamentali. Da un lato dobbiamo abituarci a questo tipo di fenomeni e lavorare per contenerli e prevenirli, o quantomeno di rendere i loro effetti meno devastanti. Sappiamo agire bene in emergenza, ma non è un approccio sostenibile a lungo termine. Dall’altro lato occorre far sì che non diventino così estremi da non essere più gestibili. Se la temperatura media globale dovesse aumentare di 4-5 gradi, rimarrebbe ben poco dei ghiacciai sulle Alpi, nota Pasini: possiamo capire l’effetto che questo avrebbe sull'approvvigionamento idrico in Pianura Padana. Questo vuol dire, soprattutto, decarbonizzare la nostra società, eliminando il più presto possibile l’uso di combustibili fossili.

Sono queste le richieste poste alle forze politiche, attorno alle quali viene portata avanti la raccolta firme. L’alto numero di adesioni, assieme ad alcuni sondaggi, mostrano che il problema è molto caro alla maggioranza della popolazione. Com’è allora che la politica ne parla così poco?

Il motivo forse è la portata del problema: va affrontato a lungo termine, su tempi molto più lunghi dei mandati politici. Per questo motivo, dice Pasini, abbiamo bisogno di statisti che guardino alle future generazioni e pianifichino le modalità di sviluppo per i prossimi 30 anni. Specifica poi che gli scienziati firmatari non intendono intervenire sulle singole idee di sviluppo. Però qualsiasi visione deve tenere in conto il cambiamento climatico, altrimenti è destinata a fallire. E dev’essere un impegno serio, efficace: non un’operazione di greenwashing, ovvero lo sbandieramento di pratiche “verdi” che smuovono ben poco all’atto pratico.

Pasini vede infine il successo della petizione come una rinnovata fiducia nel mondo della scienza, soprattutto tra le generazioni più giovani. Molti dei ragazzi che negli ultimi anni sono scesi a vario modo in piazza per puntare il riflettore sulla crisi climatica hanno ora la possibilità di votare, per la prima volta. E il loro numero aumenterà nelle prossime elezioni. Lo racconta Pasini: «Si rivolti a me dei ragazzi, anche minorenni, chiedendo: noi non possiamo votare, come possiamo aiutare?» 

Qui l’intervista completa.

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