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Il “metodo democrazia” e il discernimento

Si è svolta venerdì 19 la Giornata teologica “G. Miegge” a Torre Pellice

«Democrazia e pratica ecumenica”» : i grandi organismi internazionali e il loro funzionamento; la crisi o le percezioni di una crisi della democrazia e delle istituzioni ecumeniche; il mondo e noi; la nostra piccola Chiesa valdese con la sua secolare storia, intrecciata da sempre con i movimenti ecumenici. Tanti gli spunti di riflessione, diversificati gli approcci e diverse le prospettive da cui guardare e analizzare una tematica complessa che non può per questo trovare delle risposte semplici. Cinque oratori hanno offerto al pubblico della Giornata teologica “Giovanni Miegge”, venerdì 19 agosto, il proprio punto di vista, a partire dal proprio osservatorio e dalle proprie esperienze in materia: Michel Charbonnier (membro del Comitato centrale del Consiglio ecumenico delle Chiese), Claudio Pasquet (Comitato esecutivo della Comunione mondiale di chiese riformate), Fulvio Ferrario (Facoltà valdese di Teologia), Niccolò Rinaldi (funzionario del Parlamento europeo)e Debora Spini (Syracuse University e New York University in Florence).

Da questa pluralità di interventi – già di per sé “modus operandi” tipico di certi contesti – posso tentare di restituire idee, sollecitazioni, domande aperte, possibili itinerari di viaggio. Innanzitutto, l’attenzione alle parole, al loro significato, al loro uso. La democrazia, è un “metodo”, una “pratica”, una “postura” che ci consente di sperimentare il dialogo, l’ascolto, stare/rimanere/camminare insieme; un metodo di lavoro che ci incoraggia a parlare/ascoltare/cambiare opinione; un modo di pensare collettivamente, di costruire un “ethos” comune, di raggiungere un consenso condiviso, abbandonando ogni tentazione di esclusività. Ma proprio perché “metodo”, la democrazia non vive necessariamente di un progresso perenne: può subire battute d’arresto, può rischiare derive pericolose (la cosiddetta “democratura”), in quanto la posizione della maggioranza non è sempre e necessariamente la migliore.

La scommessa del “metodo-democrazia” – peraltro invenzione umana – si gioca sulla persona, sulla sua capacità di discernere, dunque di essere sufficientemente pronta e preparata per prendere le decisioni giuste. Un metodo, la democrazia, che prevede anche il dissenso (e lo sanno bene le minoranze, qualunque esse siano); un metodo che consente alle minoranze di oggi di diventare maggioranza domani e viceversa; un metodo che ha i suoi punti di forza e di debolezza, in quanto metodo umano condizionato dai contesti, dalle dinamiche e dalle posizioni di potere che sempre esistono nei contesti umani; metodo che ha bisogno dei suoi tempi e noi, spesso, tempo non ne abbiamo (o pensiamo di non averlo).

Altre parole sono circolate tra gli oratori e verso il pubblico: secolarizzazione, secolarismo, scristianizzazione; parole che evocano immediatamente negatività, crisi, mancanza. Predicare in un mondo scristianizzato – dove cioè è venuta meno la pertinenza di significato dei simboli del Cristianesimo, usati invece in modo deformato, deformante e manipolatorio delle coscienze – è forse una delle sfide più grandi per le chiese che ancora tentano di annunciare l’Evangelo, la Buona Notizia che irrompe nelle vite e le trasforma. Quella trasformazione che è possibile sperimentare nella pratica ecumenica sincera, laddove il dialogo teologico non è mai bilaterale, ma multilaterale; laddove le chiese cercano di camminare verso una unità visibile di fede, consapevoli di essere al contempo soggetto e oggetto di trasformazione, consapevoli che Dio stesso è in cammino con noi, è in missione per promuovere – insieme con noi – la vita.

E proprio nel dialogo ecumenico, il metodo-democrazia può farsi anche contenuto: pace, pazienza, fiducia, temperanza, compromesso; la sfida del camminare insieme lasciando spazio al lavoro dello Spirito. Dialogo ecumenico e dialogo in senso lato: dialogo a tutti i costi o limiti al dialogo; fino a quando possiamo/dobbiamo dialogare e quando è giusto invece dire una parola di chiarezza o di rottura, se necessario? L’esperienza e la ricchezza biblica ci vengono incontro e ci ricordano come i profeti/le profetesse siano sempre stati e state figure di critica, non asservite al potere (anche se di maggioranza), ma disponibili al dialogo fin dove ci sia disponibilità all’ascolto: anche questo un “modus operandi”. A noi la scelta del metodo; il contenuto è la Parola di Dio, il Dio di Gesù Cristo e l’opera – sempre viva, libera, trasformatrice – del suo Spirito nella storia.

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