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Partecipazione e vocazione

I momenti assembleari sono, insieme al culto, il luogo della consapevolezza. Ora interroghiamoci anche sui loro contenuti

Una coincidenza di date ha fatto sì che alcune elezioni locali (alcune città capoluogo, con i referendum abrogativi del 12 giugno lontanissimi dal raggiungere il quorum necessario) si sovrapponessero al ritorno di alcune assemblee decisionali nelle chiese metodiste e valdesi. Le Conferenze distrettuali si erano già svolte l’anno scorso, anche se solo una (Primo Distretto, a Torre Pellice) aveva potuto aver luogo in (limitata) presenza. Ora due Conferenze (Primo Distretto a Villar Perosa, Secondo a Torre Pellice) hanno potuto svolgersi in presenza, mentre una formula mista ha caratterizzato le altre due assise. E, a fine aprile, l’Assemblea dell’Unione delle chiese battiste era stato un momento importante di riflessione e aveva dato luogo al necessario rinnovamento delle cariche. Altro segnale di partecipazione la Consultazione metodista che, pur non essendo un’assemblea decisionale, è un momento di bilancio, di consuntivo dell’anno ecclesiastico: averla potuto svolgere sul posto, che oltretutto vedeva la conclusione di importanti lavori alla struttura di Ecumene, è stato incoraggiante. 

Lo svolgimento delle istanze previste negli ordinamenti delle chiese battiste, metodiste, valdesi, oltre a garantire la piena esplicazione delle attribuzioni degli organismi delle chiese stesse, è anche un’iniezione di fiducia, perché la normalità delle nostre chiese deriva proprio dall’essere assembleari: la parola assemblea richiama sia il culto sia la gestione della vita della chiesa. Ekklesìa – da cui poi “chiesa” – è parola greca che traduciamo con assemblea.

Durante il culto in cui rendiamo grazie e lode a Dio, l’assemblea “risponde” in una maniera evidente con il canto. Ma il pastore Bruno Rostagno (Dio incontra, ama, unisce, Claudiana, 2021) ricorda come anche il silenzio dei e delle presenti, fra i banchi del tempio, sia in qualche modo “parlante”. Il fatto di essere in ascolto della Parola predicata, grazie all’azione dello Spirito santo, mette in interazione chi predica e chi ascolta. L’acqua della vita di cui parla l’Apocalisse (21, 6) sarà data gratuitamente a chi ha sete. «Noi – scrive Rostagno – non possiamo fare altro che averne sete, cioè chiederla in preghiera».

La “gerarchia di assemblee”, da quella locale a quella sinodale o a una assemblea nazionale, consente di prendere decisioni sagge, rilanciando il senso di responsabilità e dell’assumere un incarico. Quando a fine marzo la Diaconia valdese è entrata nel Registro del Terzo settore, è stato fatto notare proprio questo: alcuni dei requisiti richiesti ai soggetti che vengono a farne parte, sono la collegialità delle strutture decisionali, la loro composizione mediante elezione, una durata “a tempo” dei mandati: caratteristiche che da sempre caratterizzano delle strutture dell’ordinamento ecclesiastico di cui andare fieri.

Tutto ciò però non basta. Di fronte alla crisi, innanzitutto numerica, che contraddistingue le chiese cristiane come il mondo della politica, si cercano le possibili strategie di risposta; e anche la Conferenza distrettuale, come le altre assemblee svoltesi e che si svolgeranno, si è interrogata sul problema. Vi è sicuramente un problema di modalità: liturgie, musiche e modi in generale risentono di schemi consolidati che rassicurano chi è già convinto, ma che forse non riescono a uscire dal perimetro dei nostri templi e locali di culto. Così varie istanze europee (per esempio la Comunione di chiese protestanti in Europa) hanno posto l’urgenza di elaborare una “teologia della diaspora”. Servono nuove modalità.

Ma forse il problema per le nostre chiese e un po’ per tutte non sta solo nella ricerca, sperimentazione e proposta di nuovi linguaggi (peraltro auspicabili per raggiungere sensibilità diverse, e proporre culti inclusivi e accoglienti – parole risuonate alla Conferenza del I Distretto); si tratta di fornire al popolo dei credenti un messaggio che faccia risuonare la Parola di Dio nelle loro vite. Che non significa offrire solo ciò che un “pubblico” si aspetta (oggi sembra essere richiesto un messaggio che faccia “star bene”, in pace con se stessi) quanto piuttosto la proposta e l’annuncio di una Parola che possa orientare le nostre vite all’insegna di un’azione di grazia e di liberazione che ci ha raggiunti per sua iniziativa. Noi, con i nostri limiti, facciamo la nostra parte che consiste nel predicare e nel prendere decisioni alla nostra portata. Sapendo che però l’iniziativa non è in mano nostra. Noi partecipiamo, se sappiamo rispondere alla vocazione che ci viene rivolta. Questa è per noi la partecipazione

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