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La guerra è una malattia

Curare i corpi, la psiche e impedirne il contagio è compito nostro

Se guardiamo alla guerra come ad una malattia allora occorre curare i corpi, accudire la mente, evitare il contagio. Abbiamo provato a ragionarci nell’ultimo appuntamento del Festival dei Diritti Umani (guarda il video) che era stato tutto dedicato al diritto alla salute. Il risultato è stato un’agorà di pensieri alti, senza carte militari o immagini di giochi scambiati per le piantine delle acciaierie di Mariupol. 

L’idea è nata da un confronto con Marco Chiesara, presidente dell’Onlus WeWorld e con Luca Paladini, portavoce de «I Sentinelli». 

Tre associazioni che si sono messe a disposizione per aiutare chi fugge dalla guerra, ma che percepivano i segnali di un contagio bellico – almeno nel confronto pubblico – anche qui da noi. 

Abbiamo individuato tre filoni: guerra e diritti, guerra e linguaggio, guerra e giustizia internazionale. Abbiamo chiesto, infine, a un fotoreporter bravo e sensibile come Gianluca Cecere di regalarci una foto che rappresentasse questa idea.

Senza far torto a nessuno cito solo tre passaggi che funzionino come campanelli d’allarme (tutti gli interventi sono comunque interamente ascoltabili). Cecilia Strada, responsabile della comunicazione di ResQ, che ha stigmatizzato che ci sia qualcuno che, come nel caso delle vittime di stupro, cominci a dire degli uni e degli altri che «se la sono cercata»; la filosofa politica dell’Università Bicocca Giorgia Serughetti, che ha ricordato come la «chiamata alle armi» della democrazia contro l’autoritarismo indebolisce sempre i sistemi democratici; Chantal Meloni, docente all’Università Statale di Milano, che ci ha avvisato del rischio frustrazione che potrebbe produrre la necessaria lentezza con cui opera la Corte Penale Internazionale.

E il ruolo dei giornalisti? Fondamentale. 

Perché gli inviati sul campo di battaglia sono i nostri occhi, a volte anche il nostro cuore. E non è sempre giusto che sia così. Azzurra Meringolo, inviata del Gr Rai per esempio ha ricordato che «si combatte da entrambi i fronti con la propaganda e il giornalista deve lavorare per sottrazione». 

Quanti riescono a farlo? Nello Scavo, di Avvenire e Stefania Battistini, del Tg1, ci hanno risposto che ci provano ogni minuto che passano in Ucraina, provando a tenere dritta la barra di un giornalismo a schiena dritta.

*Per gentile concessione dell’autore e di Articolo 21 liberi di…

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