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Mettere al centro i piccoli di questo mondo

Un giorno una parola – commento a Marco 9, 36-37

Ecco, i figli sono un dono che viene dal Signore 
Salmo 127, 3

Gesù preso un bambino, lo mise in mezzo a loro; poi lo prese in braccio e disse a loro: Chiunque riceve uno di questi bambini nel nome mio, riceve me; e chiunque riceve me, non riceve me, ma colui che mi ha mandato”
Marco 9, 36-37

«E figlie so piezz’ ‘e core» (i figli sono pezzi del cuore), recita una canzone napoletana. Quanti sacrifici si fanno per loro. Una volta la relazione verso i bambini era tutt’altra. Pare che per i greci e i romani di allora sopprimere qualche neonato era un modo di controllare la dimensione delle proprie famiglie, una orribile pratica che era ammessa. Quindi l’atto compiuto da Gesù di mettere un bambino al centro è rivoluzionario, mentre per noi è piuttosto un gesto d’affetto.

Nel versetto che precede il nostro, Gesù rivolgendosi ai dodici dice: «Se qualcuno vuole essere il primo, sarà lultimo di tutti e il servitore di tutti». Ed è allora che Gesù prende qualcuno che era considerato ultimo – un bambino – e lo mette nel centro. Il tutto nel contesto più ampio del secondo annuncio della passione. Un atto rivoluzionario! La fede è tutt’altro che abitudine. Forse mettere un bambino al centro ci è facile, mettere al centro chi consideriamo “ultimo” è meno facile. La fede non è un atto naturale: ci viene naturale mettere un bambino al centro, mentre mettere gli ultimi di questo mondo e lo stesso Gesù al centro della nostra vita non è affatto un’azione naturale. Qui si tratta di compiere una scelta precisa, una scelta che cambia il modo di vivere e, tornando ai bambini, sappiamo bene che il loro arrivo cambia la vita di chi li accoglie, e come!

Ormai Dio per molte persone non rappresenta niente, è come un bambino, un malato, un povero, un disoccupato, un malato psichiatrico; eppure, le persone vulnerabili si rivelano più vicini al regno di Dio di tante altre. Con loro Gesù è presente, in loro Dio si fa vicino. Teniamo queste cose a mente ora, non domani, soprattutto quando siamo chiamati ad agire in quei luoghi del mondo, vicini e lontani, martoriati dalla guerra e dalla violenza. 

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