Cent’anni di Beppe-Johnny Fenoglio
07 aprile 2022
Nasceva un secolo fa lo scrittore albese che raccontò la Resistenza senza filtri e che sognava di andare in battaglia al fianco di Cromwell e con la Bibbia nello zaino
«Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell’anno 1944».
In molti riconoscono il passaggio fondamentale di Beppe Fenoglio contenuto ne I ventitré giorni della città di Alba, una delle opere principali dello scrittore langarolo, nato il 1° marzo 1922 proprio nella “capitale” delle Langhe. A 100 anni dalla sua nascita, per capire meglio l’importanza di Fenoglio nella letteratura italiana e non solo, bisogna però calarsi in una realtà completamente diversa da quella a cui siamo abituati oggi, quando parliamo di queste terre ricche di vini pregiati, nocciole e derivati e tartufi, oggi bene culturale protetto dall’Unesco.
Alba e le Langhe attorno alla Seconda Guerra mondiale sono terre povere, dove chi vende uva la porta in piazza del Duomo ad Alba durante la “Fiera del Tartufo” e i grossisti di vino fanno il bello e il cattivo tempo, aspettano nei caffè della piazza fino a sera per contrattare il prezzo su un’uva ormai deteriorata dalla giornata trascorsa in piazza. Sono terre paesaggisticamente diverse da oggi, come si vede nella foto qui sopra, in cui è ritratto Fenoglio con alle spalle una Langa spoglia da filari di vigne ma contrassegnata da campi coltivati. In questo contesto nasce la ribellione critica di Fenoglio raccontata magistralmente nel “libro grosso” come lo definisce egli stesso: Il partigiano Johnny. E nel titolo del romanzo un altro elemento fondamentale per la letteratura italiana, la contaminazione con la lingua e la cultura di J. Milton e O. Cromwell.
A Fenoglio va dato il grande merito di umanizzare la Resistenza, troppe volte idealizzata (non a caso sul monumento all’ingresso del “Centro Studi Beppe Fenoglio” in piazza Rossetti ad Alba, dove realmente visse l’autore, è riportata solo la prima parte della frase che apre questo articolo); i suoi venti mesi di guerra iniziano in modo differente rispetto a quelli di altri autori quasi coetanei come Nuto Revelli e Mario Rigoni Stern: loro militari, Fenoglio ancora all’Accademia a Roma, dove lo coglie l’8 settembre.
Faticosamente torna nell’Astigiano, dove si inserisce a inizio 1944 nelle formazioni garibaldine che lascia quasi subito per “riarruolarsi” negli autonomi, i badogliani.
La conoscenza perfetta dell’inglese lo porta a diventare un anello fondamentale con le missioni alleate paracadutate fra le fila partigiane, fino al termine delle ostilità. Nel dopoguerra inizia a scrivere e ha la fortuna di essere consigliato da autori del calibro di Italo Calvino (il primo a capire la grandezza di Fenoglio), Natalia Ginzburg ed Elio Vittorini. Scrive fondamentalmente dell’esperienza che lo ha visto protagonista, che è quella della Resistenza, inserendo nomi di partigiani immaginari ma riconoscibili in alcune figure; reali sono invece i luoghi di Langa (Alba, Neive, Santo Stefano Belbo, Mango, Murazzano...), dove oggi si sviluppano gli interessanti percorsi fenogliani.
L’esperienza della guerra è traumatica e la riprova è la fatica a reinserirsi nel mondo civile: nella scrittura trova una via di fuga per riappacificarsi con il mondo, per trovare la sua strada, nonostante le fatiche immense per produrre anche solo una pagina, frutto di una decina di ripensamenti. Muore giovanissimo, ad appena 41 anni nel 1963, per problemi legati alle vie respiratorie (era un grande fumatore). Lascia incompiuta la sua opera (quasi) autobiografica che riprende lo stile epico, costruendo un libro prima sul ritorno a casa e poi sull’esperienza dei venti mesi di guerra (i richiami e le strutture di Iliade ed Eneide sono evidenti); non riesce neppure a dargli un titolo definitivo: sarà l’Einaudi ad azzeccare la scelta de Il partigiano Johnny.
L’inglese è l’altra cifra caratterizzante della letteratura “fenogliana”: un vero e proprio stile unico e inconfondibile che nasce e muore con lui e che ha preso diverse diciture, come a esempio “fenglese”. L’inglese, come hanno detto in molti, è la lingua mentale di Fenoglio, è fonte di ispirazione per i nomi, per le frasi inserite nei suoi romanzi, un unicum precursore dei tempi; la cultura anglosassone è fonte di ispirazione e di confronto e di lavoro. Il Fenoglio che traduce G. M. Hopkins, T. S. Eliot, E. L. Masters, R. Creeley, S. T. Coleridge e sogna di essere un soldato di Cromwell con la Bibbia nello zaino e il fucile a tracolla è lo stesso Fenoglio che non entrò mai in chiesa, nonostante le finestre di casa sua si affacciassero sul duomo di Alba, che ebbe il primo matrimonio civile della città e che non visitò mai l’Inghilterra. Rigore e logica sono le parole d’ordine che lo fanno sembrare, come è stato più volte detto, più un protestante inglese che un “langhet”. Fenoglio però è stato invece indissolubilmente legato al suo territorio, alla sua storia e alla sua gente.
Lo vogliamo ricordare con le parole che chiudono la vicenda di Johnny: «Johnny si alzò col fucile di Tarzan e il semiautomatico... Due mesi dopo la guerra era finita».
Rileggere Fenoglio, anche alla luce del conflitto in Ucraina, assume oggi un significato ancora diverso. La guerra nelle pagine di Fenoglio non è filtrata, è reale e dura. E non lascia indifferenti ma evidenzia, ancora una volta, la disumanità insita nei conflitti.
Alcune indicazioni per conoscere meglio Beppe Fenoglio: ovviamente leggere le sue opere. Il Centro studi (www.centrostudibeppefenoglio.it) mette a disposizione informazioni e percorsi e soprattutto il programma di iniziative sull’anno fenogliano; su Youtube si trova il documentario di Guido Chiesa Una questione privata (Vita di Beppe Fenoglio) del 1996 che anticipa (e supera a livello di contenuti) quello che sarà il film del 2000 Il partigiano Johnny, sempre di Chiesa. Le colline della Langa infine, seppure molto diverse dalle sue, sono l’ultimo tassello per completare il mosaico di questo autore non conosciuto come meriterebbe.