Tutela ambiente in Costituzione: «c'è da rallegrarsi»
09 febbraio 2022
L’auspicio è che questo approccio possa riguardare anche una cultura della prevenzione dei disastri ambientali e delle pandemie che sono conseguenza di un rapporto malato con l’ambiente, basato sullo sfruttamento e sul profitto
C’è da rallegrarsi per l’introduzione nell’art. 9 della Costituzione della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi per diverse ragioni. Innanzitutto, perché è la prima volta che si modificano i principi della Costituzione su cui poggia la nostra convivenza democratica e dunque la portata del cambiamento è notevole per ciò che riguarda il concetto di cultura e di ricerca scientifica. Certo, si tratta di una riflessione che è durata anni e che necessiterà ancora di diverso tempo affinché il cambiamento venga compiutamente recepito nelle comunità. Perché ciò che cambia è proprio il modo in cui si costruiscono le relazioni comunitarie, tra gli individui in relazione al contesto circostante, ma anche tra loro, a livello familiare e sociale, dunque anche economico e politico. E poi c’è il rapporto con la scienza che abbiamo scoperto essere così importante durante la pandemia anche in relazione al modo in cui l’incertezza e la provvisorietà delle scoperte scientifiche vengono comunicate attraverso i media, dalla televisione ai social con l’abbondanza di fake-news e di distorsioni che non favoriscono ragionamenti per la comprensione dei problemi, in modo accessibile.
In secondo luogo, come da tempo l’eco-femminismo e l’antropologia femminista sottolineano, è importante la cura delle relazioni e dell’ambiente in cui viviamo, ma anche degli esseri viventi con cui conviviamo. E persino degli esseri inanimati con cui interagiamo come le pietre, le foglie e le conchiglie che possono diventare oggetti di memoria quando conservate e inserite nel vissuto e nelle storie biografiche delle persone.
Questo introduce un concetto di cultura che non è conservativa o ancor meno ancorata alla natura come se essa fosse immutabile, come spesso nel senso comune si intende quando si utilizza questo termine. Pensiamo solo a quando lo si scomoda per definire la famiglia tradizionale o per descrivere relazioni interpersonali “contro natura”. Piuttosto, questo nuovo approccio riflette sulla accoglienza della diversità e ne salvaguardia la sua varietà, in un continuum natura-cultura che viene continuamento ripensato in base alle scoperte e alle innovazioni scientifiche rispetto alle quali vale sempre la domanda: “cosa vogliamo consegnare alle generazioni future, in un nuovo orizzonte?”
È dunque uno stimolo in più ad articolare il rapporto natura-cultura nella consapevolezza della complessità, della varietà dei soggetti che interagiscono, dell’influenza delle relazioni nel forgiare gli ambienti di vita e nel costruire una società accogliente e solidale. Come esseri umani, sessuati e posizionati socialmente, facciamo parte di un eco-contesto più ampio, che è da salvaguardare nel suo equilibrio dinamico e sempre mutevole.
Infatti, quella che sembra una “rivoluzione”, almeno in Italia, sconta un certo ritardo nell’accogliere un approccio sistemico alla sostenibilità, concetto trasversale secondo gli obiettivi delle Nazioni Unite che attraversa tutti gli ambiti della vita sociale, dalla lotta alla povertà e alla fame, dall’educazione di qualità a una buona sanità, dalla parità di genere al lavoro dignitoso, dalla vivibilità delle città alla tutela dell’ambiente, alla transizione digitale ed energetica, al riscaldamento climatico, alla giustizia sociale e alla pace. Punto cruciale di questo approccio è la giustizia tra generazioni che è alla base dello sviluppo sostenibile. Occorre incoraggiare uno sguardo lungo, come il cambiamento culturale sempre necessita e che va perseguito con tenacia e pazienza, sapendo che è in gioco un futuro incerto, in rapido cambiamento, che ha però bisogno di orientamento.
Dunque, l’auspicio è che questo approccio possa riguardare anche una cultura della prevenzione dei disastri ambientali e delle pandemie che sono conseguenza di un rapporto malato con l’ambiente, basato sullo sfruttamento e sul profitto. Questo coinvolge anche la scuola e l’istruzione pubblica, nel suo rapporto con il territorio, e nel compito fondamentale di educare a relazioni rispettose delle diversità e dell’affettività degli altri. Speriamo sia un nuovo inizio.