Emergenza clima, la nostra doppia presa di coscienza
28 gennaio 2022
Come credenti abbiamo motivi di allarme ma anche di speranza che ci spingono a fare la nostra parte
La pandemia sembra aver azzerato le altre voci di preoccupazione, ma l’emergenza climatica ancora sembra resistere. Tutti e tutte, negazionisti esclusi, vedono, ormai, che cosa stia succedendo e che abbiamo bisogno di azioni concrete a ogni livello. Come una meteora si è discusso di Don’t look up, un film che, sebbene con minaccia e tempistiche diverse, si pone in polemica forte con la politica attendista delle nazioni del mondo. Si contrappongono, infatti, Conferenze mondiali, come la COP26, che però partoriscono decisioni molto timide, per paura di turbare lo status quo o perdere posizioni di vantaggio, piuttosto che capire come fare il meglio, il prima possibile, anche se è comprensibile la paura di sconvolgere dinamiche e prospettive di vita delle società moderne.
Insomma, tutti sono molto consapevoli che si potrebbe fare di più, ma altrettanto molto restii a farlo. Al contrario del film di Adam McKay, dove la risposta alla minaccia della cometa può essere solo in mano ai governi, quando si parla di riscaldamento globale tutti e tutte abbiamo diverse possibilità. Innanzitutto, la spinta verso la politica, che dovrebbe essere più massiccia e non lasciata solo in mano alle giovani generazioni, ovviamente più preoccupate per il futuro del loro pianeta. In secondo luogo, iniziare buone pratiche che, però, ci obbligheranno a passare da modi di fare semplici e terribilmente inquinanti, ad altri più costosi e complessi, che ci imporranno delle rinunce, e che sappiamo non essere immediatamente risolutivi.
Per aiutarci, abbiamo buone notizie, che non circolano abbastanza. Per esempio, l’ultimo rapporto del Gestore dei servizi energetici (Gse) ci dice che in Italia siamo arrivati al 40% di produzione di energia da fonti rinnovabili, e al 20% di consumo. Questo significa che, senza cambiare nulla nelle nostre case, qualcosa sta cambiando, proprio per via dell’inefficiente e sempre criticata politica, soprattutto in sede europea. Pensate dunque che cosa potremmo fare, se ci attivassimo tutti e tutte. D’altronde, se per il 2020 siamo in linea con le normative europee fissate nel 2009, siamo in forte ritardo sugli obiettivi che dovremmo raggiungere nel 2030, dato che, mentre noi ci muovevamo a passi da lumaca, il riscaldamento climatico correva come un treno, con gravi conseguenze per alcune parti del mondo, tanto che l’Indonesia ha confermato che sposterà la sua capitale dall’attuale Giacarta, che sta lentamente affondando, anche se si prevede che ci vorranno più di 20 anni e 28 miliardi di euro.
E in tutto questo, noi credenti siamo chiamati a una doppia presa di coscienza, perché, sebbene sia chiaro a livello scientifico che l’innalzamento dei gas serra e delle temperature è dovuto in buona parte all’attività umana, per noi, la nostra responsabilità è scritta chiaramente nella Bibbia sin dal suo principio. Dio ci ha dato il «dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra» (Genesi 1, 26), ma è evidente che di quel dominio abbiamo più che abusato, e la responsabilità non può che essere nostra. Quale tribunale assolverebbe il nostro «dominio sui pesci del mare», guardando la great Pacific garbage Patch, il gigantesco accumulo di rifiuti plastici che prende milioni di chilometri quadrati di Oceano Pacifico? Stessa valutazione per il nostro dominio di aria e terra, se consideriamo l’inquinamento. La teologia da sempre ci ricorda che la caduta dell’essere umano, creato maschio e femmina, ha significato anche la caduta del Creato nella sua interezza, ma noi facciamo ancora fatica a prenderci la responsabilità delle nostre azioni, soprattutto ora che questa maledizione si è effettivamente avverata, non per volontà di Dio, ma per nostra volontà di potenza.
«Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio» (Romani 8, 22), ci dice l’apostolo Paolo, ma questa non è solo una tragica notizia di catastrofi imminenti: è anche l’inizio dell’attesa per il Messia, il ristabilimento della Creazione così come Dio l’aveva pensata, e in tutto questo, noi abbiamo voce in capitolo, al contrario della salvezza che è in mano solo a Dio.
Il cambiamento climatico ci interessa personalmente perché è causato dalla nostra idea di progresso e industrializzazione, dalla nostra pigrizia che favorisce soluzioni semplici invece che eque, dal nostro dominio tramutato in abuso, ma anche perché la sofferenza che vediamo nel mondo e del pianeta, per noi è anche travaglio per una nascita attesa, quella di una cultura della solidarietà e della giustizia sociale, economica ed ecologica, dell’impegno di ognuno e ognuna verso scelte sostenibili e concrete, l’abbandono di pratiche pigre e che danneggiano chi e ciò che ci sta accanto, la cura per ciò che ci sta attorno, perché riconosciuto parte di chi siamo noi, per poter alzare ancora una volta la testa e volgere lo sguardo verso l’orizzonte, in attesa di incontrare e riconoscere il nostro Signore, quando tornerà, per mostrargli, non solo la fede sulla terra, ma, per quanto possibile, il pallido riflesso del giardino che ci aveva dato in cura.