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La lettura come attività aperta al dialogo

L'importanza della dimensione comunitaria nel solco della tradizione riformata

Se pensare è un dialogo silenzioso con sé stessi, secondo una celebre definizione, leggere, momento di raccoglimento e concentrazione, è un’attività dialogica: un dialogo con sé stessi e con l’autore del testo, una polifonia che strappa il lettore dalla ripetizione del già conosciuto. Ma un’altra ragione per cui la lettura è un’esperienza dialogica è che non si legge mai solo per sé: nella mia esperienza di insegnante sperimento quanto l’approfondimento culturale sia sempre orientato e mai “fine a sé stesso”. Ogni nuovo sguardo sulle cose del mondo che la lettura mi offre si traduce nella domanda su come ciò che apprendo possa essere condiviso con altri. 

Questo delicato equilibrio tra sé e mondo è oggi messo in discussione. La crisi attuale della lettura dipende dagli epocali cambiamenti del mondo della comunicazione che spingono ognuno nella propria “bolla di contatti in cui l’alterità e la diversità vengono distrutte a colpi di like e di cancellazioni degli interlocutori non “consoni” alle nostre aspettative. 

Come credenti che nella lettura personale della Bibbia vivono l’esperienza di apertura all’Altro e quindi agli altri, siamo interrogati direttamente: «Comprendi quel che leggi?», chiede Filippo al ministro della regina d’Etiopia (Atti 8, 30); la lettura della Bibbia ci pone una domanda inquietante e decisiva: e se il mondo che abbiamo costruito nel raccoglimento silenzioso fosse soltanto un’illusione autoreferenziale? Un Libero esame in cui non compaia la vita comunitaria è quanto di più lontano dal pensiero della Riforma. I laici esperti di teologia di cui parlava Samuele Bernardini (Riforma n. 44, p. 14) erano, certo, espressione di un’altra stagione culturale, ma anche di una più vivace esperienza della comunità e della condivisione della fede.

Per questo nelle nostre comunità dobbiamo valutare, accanto ai vantaggi, i rischi insiti nella comunicazione virtuale: la chiesa è unita non solo dai contenuti di un messaggio, ma anche dall’incontro dei credenti intorno al Signore presente fra chi si riunisce nel suo nome. Invece la rete che, come ogni medium, non è neutrale, sta manifestando la sua perfetta compatibilità con la figura del consumatore isolato e solipsistico il cui narcisismo è solleticato e vezzeggiato per motivi fin troppo evidenti. È facile per noi protestanti dissociarci da una comunicazione vuota di contenuti, ma forse dovremmo riflettere su come certe mode culturali, tutte incentrate sulle emozioni del lettore/utente/consumatore possano influenzare anche la predicazione e le scelte editoriali della nostra stampa e delle nostre case editrici, perdendo di vista come la cultura per i protestanti non sia autocontemplazione ma un aspetto dell’evangelizzazione.

«Di chi sta parlando il profeta? Di sé stesso o di qualcun altro?», domanda il ministro della regina d’Etiopia (8, 34). Filippo gli permetterà di cogliere quanto la buona novella sia non autoanalisi ma apertura a Colui che viene oggi nella nostra vita, nelle nostre comunità. 

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