Prostituzione: una questione di diritti umani
10 dicembre 2021
Nella Giornata mondiale dei diritti umani, riflettiamo con l’associazione torinese Iroko, anche su quello che le chiese e i singoli credenti possono fare in un’ottica neoabolizionista
«Ero arrivata in Italia nel 1992 per studiare, ma dire che ero nigeriana suscitava un certo tipo di sguardo, di sottintesi…», mi racconta Esohe Aghatise, fondatrice e presidente dell’associazione Iroko. «Non conoscevo la realtà della prostituzione, anzi mettevo una certa distanza tra me e loro,», poi, lavorando con il Comune di Torino (e altre realtà) in progetti di contrasto della tratta che si erano svolti in particolare con donne nigeriane, e «vedendo che, per la differenza culturale, le Istituzioni erano in difficoltà nella gestione del sostegno di queste donne, ho pensato di mettermi in gioco: parlando con loro, ascoltando le loro storie ho capito che potevo fare da ponte culturale, aiutarle».
Così nel 1998 nasce Iroko, che oggi lavora in Italia (dove c’è la sede legale), Nigeria (dove ha da poco aperto un ufficio) e Inghilterra (dove vive Esohe), offrendo un sostegno di terzo livello a vittime di tratta “uscite dal giro” anche da diversi anni. Oltre alla ricerca di impiego, al rinnovo dei documenti, ai servizi sanitari e di salute mentale, infatti, aggiunge Nica Mammì, responsabile dalla sede torinese, «per costruire un’alternativa di vita, un percorso di reintegrazione sociale e lavorativa, non basta aiutarle per un anno o due: devono imparare a gestire il loro denaro, a prendere consapevolezza della loro dignità; purtroppo lo Stato non finanzia questi percorsi lunghi, noi auspichiamo che vengano messi in atto, come previsto dalla legge Merlin».
Ecco, la legge Merlin: spesso trattata con paternalismo e moralismo, in realtà «è stata una legge pioniera – continua Mammì – ed è una legge abolizionista, arrivata molto prima della Svezia. Infatti oggi si parla di “neoabolizionismo”, per distinguere dalla fase precedente: la legge Merlin è del 1958, però nasceva da un lavoro decennale; il contesto era diverso, si usciva dalla guerra e dal fascismo, oggi il fenomeno è più caratterizzato dalla migrazione e dalla tratta, ma permangono i residui» di quello che si ritrova nelle lettere inviate alla senatrice dalle “case chiuse”. L’idea di Iroko e delle altre associazioni neoabolizioniste, continua Mammì, «è potenziare la legge Merlin, che è stata applicata in modo incompleto, spesso errato. Vogliamo spingere le istituzioni affinché contribuiscano, anche economicamente».
La mancanza di fondi è un problema con cui le associazioni come Iroko (che ha dovuto chiudere le proprie case di accoglienza) devono sempre fare i conti, per questo lavorare in rete è cruciale, specie perché in Italia le realtà sono spesso piccole e slegate. Iroko è collegata a organizzazioni internazionali dalla Coalition against trafficking women (Catw), alla Coalition for the Abolition of Prostitution (Cap International) di cui è membro, di matrice francese ma che coinvolge realtà in vari paesi, e ancora alla European Women’s Lobby, e al European Network of Migrant Women (Enomw).
Grazie a Internet si è fatta conoscere ulteriormente, e da alcuni anni ha avviato la creazione di una rete abolizionista in Italia: esiste già come collettivo, ma punta a costituirsi formalmente, anche se il percorso è lungo e complicato: avere maggiore visibilità, sostengono, è l’unico modo per contrastare l’ideologia del sex work.
Per lanciare la rete (chiamata Rete Abolizionista Italiana contro la Violenza sulle Donne), proprio il 25 novembre scorso è stato diffuso un video, realizzato in modo “amatoriale” ma molto intenso (lo si può vedere qui sul canale YouTube di Iroko), che mostra in modo provocatorio (seguendo un esempio francese), nella forma dell’inserzione di lavoro, che tipo di “lavoro” è la prostituzione. Il video punta il dito sulla questione del sex work, per dire, spiega Mammì «che non possiamo accettare che la prostituzione sia considerata un lavoro, bensì una forma di violenza, di prevaricazione dell’uomo sulla donna ma anche del più ricco sul più povero».
Esempio lampante, quanto accade in alcune università inglesi (per esempio Leicester), dove esiste un “Sex Work Toolkit”. Spiega Esohe: «Nelle università i promotori del sex work hanno molte risorse, economiche, tecnologiche, e sono presenti nei luoghi decisionali. Lo Stato dà pochi sostegni allo studio, i costi universitari sono molto alti e invece di fare pressioni sulle istituzioni, si promuove il sex work dicendo a giovani appena maggiorenni, che faticano a sostenere le spese, che è un’espressione della loro sessualità e libertà, e dando “istruzioni” per “prevenire i danni”».
Per Nica Mammì «non è accettabile parlare di “riduzione del danno”: si dice “assumere precauzioni” sempre alla parte più vulnerabile, ma non si parla mai di consenso, di scelta equa tra le parti. La prostituzione è un sistema industriale, il terzo al mondo per guadagni, e dobbiamo riconoscere la violenza insita in questo sistema. Spesso ci dicono che non possiamo fare affidamento sulle testimonianze delle sopravvissute, ma che dobbiamo poggiarci su dati scientifici…», eppure basterebbe guardare le conseguenze permanenti sulla salute fisica e psicologica (a partire dalla dissociazione mentale, anche in chi intraprende “volontariamente” l’attività) di queste ragazze e donne, che spesso vengono contagiate dai clienti, che spesso soffrono di disordine da stress post-traumatico (Ptsd) come le vittime di tortura e i veterani…
«Ci sono cose così tremende che non si riescono nemmeno a dire», aggiunge Esohe. «Ricordo una ragazza di 16 anni, che per essere “introdotta” aveva subito uno stupro di gruppo. Le hanno dovuto togliere l’utero, tanto era stata devastata. Una donna che abbiamo assistito mi diceva: tu sai che cosa vuol dire aprire la parte più intima di te a chiunque, vecchio o giovane, sporco, puzzolente, a persone a cui non daresti nemmeno l’ora, accettando che loro ti facciano tutto quello che vogliono, che ti mettono nel corpo di tutto e di più, solo perché ti hanno pagato?”. Ecco, quando vengono a dirmi che questo è un lavoro come un altro, chiedo: “ma tu lo faresti? faresti sesso 15-20 al giorno, fosse anche la persona che ami? Oppure: lo faresti fare a tua figlia? Molti se ne stanno nella loro ”torre d’avorio”, e si arrabbiano quando gli si dicono queste cose».
Purtroppo ci sono molte mistificazioni, osserva ancora Aghatise: «i nostri detrattori dicono che siamo contro il sesso... ma nella prostituzione non si tratta di sesso, è una questione di potere e di soldi»; le fa eco Mammì «non è una questione moralistica, ma di diritti umani: la dignità umana è una condizione oggettiva, non soggettiva, non può essere il mercato a decidere».
La cosa paradossale è che spesso, partendo da posizioni opposte, si arriva alle stesse conclusioni, come ricorda Esohe Aghatise a proposito di «un incontro nel febbraio 2019 alla Camera dei Lord con un gruppo dell’English Collective of Prostitutes, che spinge per la legalizzazione della prostituzione, mentre noi puntiamo alla penalizzazione di chi compra. Alla fine abbiamo scoperto che stavamo dicendo la stessa cosa: proteggiamo le persone che si prostituiscono, cerchiamo di offrire un’alternativa, mettiamo risorse perché possano vivere in modo dignitoso… la differenza era negli strumenti per arrivarci».
Che cosa possono fare le chiese, come istituzioni e come singoli credenti? Secondo Esohe Aghatise «possono fare molto: la cosa più importante è la questione culturale. Fare capire, alle persone che parlano di sex work, che danno una valutazione positiva a qualcosa che non deve averla, sfatare il luogo comune “esiste da sempre”. Non è così: le culture sono dinamiche, una volta la schiavitù era un’attività economica normale, giustificata persino citando la Bibbia. La stessa cosa potrà avvenire con la prostituzione. Consigliamo di parlare con le persone, creare opportunità di incontro, aiutare le organizzazioni, anche nella ricerca di finanziamenti, sostenere progetti nelle scuole, fare pressione per cambiare le politiche su questo fenomeno».
Nica Mammì suggerisce di «entrare nella rete abolizionista, è importante agire come soggetto collettivo, per avere un ruolo politico e culturale. Malgrado la frammentazione che esiste nella politica, stiamo conducendo un lavoro importante anche a livello istituzionale insieme alla senatrice Alessandra Maiorino: solo tutti insieme possiamo fare la differenza e costruire un percorso di cambiamento».