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Lampedusa e il "mare spinato"

Il 3 ottobre 2013 il terribile naufragio nel Mediterraneo in cui morirono 368 persone, simbolo della tragedia delle migrazioni e della loro mala gestione. Ieri la celebrazione ecumenica sull'isola

Sono passati otto anni dalla notte del 3 ottobre in cui morirono 368 persone nel tentativo di raggiungere l'isola di Lampedusa. Un naufragio diventato simbolo della tragedia della migrazione nel Mediterraneo, 40mila persone scomparse in dieci anni: alcune ritrovate, molte altre semplicemente inghiottite dall'oblio.

A questo inaccettabile spreco di vite, la Federazione delle Chiese evangeliche ha risposto con il progetto sulle migrazioni Mediterranean Hope, che proprio a Lampedusa contribuisce a tenere viva l'attenzione su chi arriva nell'isola per cercare un futuro in Europa. Come ha ricordato il presidente della Fcei, il pastore Luca Maria Negro, durante la commemorazione ecumenica che si è tenuta il 3 ottobre nella parrocchia di San Gerlando con l'arcivescovo di Agrigento Alessandro Damiano, «la memoria è legata alla vita: come ci ricorda Deuteronomio 4, Dio ci intima di proseguire ostinatamente nel ricordare ciò che abbiamo visto, perché possiamo vivere, noi e i nostri discendenti». Non dobbiamo quindi scordare la tragedia legata all'immigrazione, ma «riscoprire la filoxenia, l'ospitalità, perché Dio si serve anche dello straniero per darci la sua benedizione».

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Intrecciare la memoria all'accoglienza è proprio l'obiettivo dell'Osservatorio permanente di MH: «monitoriamo quel che succede nel Mediterraneo raccogliendo dati, incontrando le persone appena arrivano a Lampedusa– spiega Marta Bernardini, coordinatrice di Mediterranean Hope – cerchiamo di infilarci nelle maglie della frontiera, che sono sempre più strette, e di allargarle il più possibile. Dando acqua, coperte, sorrisi, rappresentiamo la società civile che resiste ed è la coscienza dell'Europa».

Una resistenza che combatte contro la disumanizzazione della memoria dei morti e dei dispersi: così, al cimitero dell'isola, ora le lapidi delle tombe delle persone migranti non riportano numeri ma nomi e storie di vita. Ezequiel, Ester Ada, Welela e tanti altri ricordano al visitatore chi erano e perché sono morti ingiustamente. La vera emergenza infatti, riguarda non chi oggi riesce a sbarcare a Lampedusa – fra il 2 e il 3 ottobre l'isola ha contato 500 nuovi arrivi – ma i tanti, troppi che non ce l'hanno fatta per colpa del “mare spinato” e di una politica ingiusta che, nonostante le buone intenzioni proclamate dalle istituzioni a ogni ricorrenza, continua anche oggi a impedire la libera circolazione delle persone.

 

Foto di Stefano Stranges

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