Un architetto tra Agape, la chiesa valdese e il design
01 giugno 2021
Giovanni Klaus Koenig in un libro delle edizioni universitarie di Firenze
Nel dicembre del 2019 ricorrevano i trent’anni dalla scomparsa di Giovanni Klaus Koenig, valdese di Firenze, architetto e storico dell’architettura. Un gruppo di colleghi, ex allievi e assistenti prese l’iniziativa di realizzare una corposissima pubblicazione, in parte rallentata dalla pandemia e uscita poi a fine 2020, che ne tratteggiasse la vita e la carriera di docente, ma anche di saggista e pubblicista, articolata nella direzione di riviste specializzate o degli interventi sui giornali cittadini. La curatrice Maria Cristina Tonelli è docente al Politecnico di Milano.
Koenig, pur nato a Torino, era “fiorentinissimo”, e talmente legato alla propria città da indignarsi quando all’interno della stessa vedeva compiersi delle scelte scellerate, come l’eccesso di afflusso del turismo organizzato, che, tra l’altro, convoglia pullman uno dietro l’altro in percorsi “obbligati” ripetitivi, privi di fantasia, che non escono dai luoghi da cartolina. Meglio i “saccopelisti”, scriveva sull’importante volume pubblicato dal Touring Club, in cui si divise la maggior parte dei saggi con lo storico Giorgio Spini, altro cittadino illustre e, come militante evangelico metodista, fra le figure che Koenig stesso ebbe come riferimento negli anni della propria formazione.
Il volume* ricostruisce dunque un itinerario ricco di contatti significativi, nell’Italia da poco uscita dalla guerra: centrale è la costruzione, negli anni 1946-51, di Agape, il centro ecumenico internazionale ideato dal pastore valdese Tullio Vinay e situato nella val Germanasca in provincia di Torino, segnata dagli scontri tra nazifascisti e Resistenza. Il progetto sarà dunque l’emblema di una ritrovata via alla fratellanza fra giovani di Paesi che si erano combattuti ferocemente. Volontario nel “cantiere” dei primi anni, egli sarà poi il progettista della palazzina degli uffici.
Il libro si articola in grandi sezioni, che hanno per elemento comune la capacità di Koenig nel guardare più avanti degli altri, un fiuto che lo portò, per esempio, a cogliere prima di tutti la possibilità di sviluppo di una semiotica dell’architettura. Sembrava tutto compreso negli studi e nelle sollecitazioni di una cultura vastissima anche al di là dell’ambito strettamente professionale (vasti gli interessi e profonda la competenza interessi nei campi del cinema, della musica), ma in realtà al tempo stesso “annusava l’aria” dei mutamenti in atto o in germe, parlava con le persone, ne coglieva i bisogni fuori dagli schematismi degli intellettuali di maniera.
Emergono dalle 450 pagine, dunque, l’architetto, il designer specializzato in treni e tram (come i famosi Jumbo di Milano), ma anche l’uomo e l’amico. Ed emerge anche la formazione, la matrice di fede, riportate negli interventi di Emanuela Genre («Il tempio valdese di San Secondo di Pinerolo», che Koenig voleva fosse ricordata come l’opera più importante della sua attività in campo civile, e di cui si parla anche nel numero di giugno dell’Eco delle Valli Valdesi, supplemento mensile di Riforma) e di Valdo Spini, che ne ricorda l’etica del lavoro, improntata al Beruf, che in sede protestante indica tanto il lavoro quanto la vocazione. Prezioso anche l’elenco degli scritti, desunti dalle schede conservate da Koenig stesso.
* Maria Cristina Tonelli (a c. di), Giovanni Klaus Koenig. Un fiorentino nel dibattito nazionale su architettura e design (1924-1989). Firenze University Press, 2020, pp. 453, euro 34,90.