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Essere grati e grate a Dio per ciò che ha fatto per noi

Un giorno una parola – commento a Osea 11, 3

Io insegnai a Efraim a camminare, sorreggendolo per le braccia; ma essi non hanno riconosciuto che io cercavo di guarirli 
Osea 11, 3

Considerate che la pazienza del nostro Signore è per la vostra salvezza
II Pietro 3, 15

Il profeta Osea parla a Israele, che chiama Efraim, per rimproverarlo della sua infedeltà a Dio. Questa infedeltà ha provocato l’ira di Dio: la conseguenza sono le catastrofi annunciate dal profeta. 

Ma le immagini di catastrofi si alternano a immagini di speranza. Perché anche dove si parla di catastrofi, si sente sempre l’amore che Dio nutre, e nutrirà sempre, per il suo popolo.

Forse alcuni israeliti sono già stati deportati in Assiria come schiavi; le città di Israele non sono ancora state distrutte, ma lo saranno presto. È la punizione per il fatto che Israele è divenuto infedele e si è lasciato attrarre dal culto idolatrico di Baal. Questo provocherà la fine della monarchia. 

All’inizio del capitolo 11, Dio ricorda come ha tratto il popolo dalla schiavitù di Egitto, e lo ha guidato, assistito, sorretto, come un padre o una madre amorosa che insegna ai figli a camminare. Ma Efraim è stato ingrato, come un figlio viziato: ha dimenticato le premure ricevute dal suo Dio e si è volto all’idolatria.

La punizione che seguirà – Israele non tornerà in Egitto, ma l’Assiro sarà il suo re – è anch’essa un segno dell’amore divino, tanto che il libro si chiude con l’esortazione: “O Israele, torna al Signore, al tuo Dio”.

Dio è intervenuto, e sempre interviene, anche nelle nostre vite. Qual è il nostro atteggiamento? La nostra vita, la nostra condotta, sono sempre improntate alla gratitudine per tutto quanto Dio ha fatto per noi? Noi che siamo state salvate e salvati, attraverso la morte e resurrezione di Gesù Cristo, senza alcun merito nostro. 

A noi è dato di esprimere la nostra gratitudine per questo dono immeritato con tutta la nostra vita, senza mai lasciarci sviare. Senza mai lasciarci attrarre dagli idoli di questo mondo, che non sono pezzi di legno o di metallo, ma anzi sono più subdoli, più difficili da interpretare come idoli, e perciò sono ancora più pericolosi. 

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