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Scuola da casa con benda nera sugli occhi

Insegnanti frustrati dal dover relazionarsi a distanza con mille difficoltà. Ma la scuola deve aiutare gli studenti ad aprire gli occhi sul mondo

Braccia conserte, braccia in seconda, mani sul banco….quando ero  alle elementari di Pinerolo questi  erano comandi  precisi che, in certi momenti, la maestra dava alla classe per richiamarla all'ordine. Anche quando veniva il fotografo per l'immancabile fotografia di fine anno scolastico, i maschi (non ricordo se anche le femmine) si mettevano belli impettiti lì davanti, con le braccia incrociate sul petto. Queste cose mi sono tornate in mente pensando a quello che sta accadendo nella scuola: con questa faccenda, forse necessaria ma certamente deleteria, della didattica a distanza, la Dad (che ora, per la solita mania delle parole inglesi, si chiama blind-Dad, cioè didattica cieca) si stanno verificando casi in cui la didattica più che cieca dovrebbe forse chiamarsi a mosca cieca (e chi ci gioca più?).

 Il problema non è più di ottenere silenzio e concentrazione in classe, ma quello di controllare la possibile copiatura e quindi di assicurarsi in tutti i modi che l'interrogato o l'interrogata non “bari” dal chiuso della sua stanzetta con appunti, libri aperti, manifesti murali…non scovabili dalla telecamera. Non più mani sul banco come alle mie elementari, invece mani in preghiera cioè unite avanti al petto, come pare abbia chiesto un insegnante, secondo le numerose testimonianze raccolte dagli studenti medi veronesi. Proprio in un liceo di Verona è stata proposta poi la “soluzione finale” per le interrogazioni: una bella sciarpa nera sugli occhi e…vai! Già a fine giugno, in una scuola del salernitano, si era verificata l'interrogazione con occhi bendati mentre più gentilmente altrove è stato chiesto di tenere gli occhi chiusi nel rispondere alle domande. Almeno una volta gli studenti si sono imbattuti con insegnanti che  mettevano in atto sistemi decisamente fantasiosi, ma in  realtà  assurdi, con ispezioni virtuali della stanza, fino alla doppia  telecamera per controllare i movimenti strani e le reciproche posizioni . Questa guerra alla “copiatura” è del resto sempre esistita: così come copiare il compito dal vicino di banco o fare lo scambio con la “chiusa” del tema di italiano e la versione di latino o il problema con quello bravo in trigonometria. Ma non c'era aria di controllo poliziesco, era piuttosto una sorta di gioco: il prof. cercava di capire se Matteo aveva copiato o se il compito era “farina del suo sacco”, mentre Laura copiava da Giovanni, poi di suo ci metteva qualche variante e ci infilava qualche errore per   ingannare. Non mancavano i disastri, due compiti identici e, giustamente, zero agli autori...

Ora che senso può avere una scuola in cui i docenti sono costretti ad occuparsi di non far copiare i loro alunni le risposte e di impedire i foglietti, le manovre, l'entrata e l'uscita dalla stanza a piacimento, il computer che non funziona, la linea…

Infatti gli insegnanti, che non ne possono più, nonostante la loro disponibilità a imparare cose nuove, sono stanchi di girare a vuoto, delusi e frustrati perché sono stati preparati per tutt'altra scuola e si trovano a dover applicare modi del tutto diversi. Modi che escludono proprio il centro della formazione, che necessita della comunità scolastica, del dialogo e non della fredda distanza fra le persone. Non è scuola quella che non apre porte e finestre sulla società, sulla vita reale, sul lavoro che manca, sulla politica e sull'economia, dal proprio quartiere all'Europa.

La benda sugli occhi, per impedire di guardare i propri appunti o la pagina del libro è inquietante proprio perché la scuola, al contrario, dovrebbe aprire gli occhi sulla realtà. E' inquietante perché ci fa tornare indietro, alla scuola delle nozioni e delle verifiche, con le caselle e  le crocette, dell'accertamento delle conoscenze mnemoniche, isolate , controllabili a distanza, mentre tutti i corsi di formazione per gli insegnanti degli ultimi anni hanno sottolineato che è necessaria una scuola delle competenze, che non si basa su ciò che l'alunno conosce ma su come è capace di mettere in pratica  e collegare fra di loro quelle diverse conoscenze.

 Vorrei infine spendere una parola positiva sul copiare… “Bravo te - si dice – a copiare son capaci tutti”. Non è affatto vero: copiare bene è piuttosto un esercizio, un allenamento, una scelta dell'essenziale, al contrario dei social..come con gli appunti, che ormai pochi sanno prendere e usare. In un discorso pubblico, dalla conferenza, al comizio, alla lezione nell'aula, all'intervento in un dibattito, alla discussione in gruppo, i foglietti non si nascondono ma si utilizzano al meglio e i bravi parlano, guardando in faccia la gente, ma con la coda dell'occhio sul foglietto. Non di rado fanno una citazione: sono colpevoli perché l'hanno copiata? O dovevano impararla a memoria?

 
Foto di Marc Thele via Pixabay

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