Pena di morte negli Stati Uniti: si riaccende il dibattito
12 febbraio 2021
Due notizie contrastanti date in questi ultimi giorni alimentano il dibattito politico e lo scontro tra i sostenitori e oppositori della pena capitale
Negli Stati Uniti, il dibattito sulla pena di morte si è riacceso in questi giorni grazie a due nuovi eventi. Il primo riguarda la decisione dell’assemblea legislativa della Virginia di abolire la pena capitale, come era stato chiesto da associazioni abolizioniste e gruppi religiosi. Venerdì 5 febbraio, la Camera dei deputati, a maggioranza democratica, ha approvato con 57 voti contro 41 la proposta di legge [bill] che era stata approvata dal Senato pochi giorni prima. Il governatore democratico dello stato, Ralph Northam, ha dichiarato che firmerà la nuova legge, che renderà la Virginia il primo stato del Sud ad abolire la pena di morte e il ventitreesimo a livello nazionale. Lo scorso anno, questa decisione era stata presa dai legislatori del Colorado e, attualmente, sono stati presentate proposte di legge per l’abolizione della pena di morte in altri sei stati (California, Florida, Kentucky, Missouri, Carolina del Sud e Texas).
Si tratta di una decisione che senza retorica può essere definita storica, perché fu proprio a Jamestown nella colonia della Virginia che, nel 1608, ebbe luogo la prima esecuzione, quella del capitano George Kendall, condannato per spionaggio a favore della Spagna. Da allora, le vittime di questa forma di “omicidio legalizzato”, come viene chiamato dai sostenitori dell’abolizione, sono stati 1.390 uomini e donne, il numero più alto di ogni altro stato, compreso il Texas, noto per la sua inclinazione all’uso della pena capitale. Va anche ricordato che, soprattutto negli stati dell’ex Confederazione sudista, le esecuzioni sono state in larga maggioranza di afroamericani.
Anche a livello federale, la tendenza sembra cambiare. Da quando nel 1988 la Corte Suprema aveva di nuovo autorizzato la pena capitale federale per un numero limitato di reati, le esecuzioni federali erano state soltanto tre, ma negli ultimi sette mesi della presidenza Trump si è registrata un’impennata con 13 esecuzioni, l’ultima pochi giorni prima della sua uscita dalla Casa Bianca. Il nuovo presidente, invece, ha promesso durante la campagna elettorale che si impegnerà per l’abolizione, che è sempre stata sostenuta dalla vicepresidente, Kamala Harris, da quando era procuratrice generale della California.
L’altro evento riguarda il cinquantunenne afroamericano Willie B. Smith III, detenuto nelle carceri dell’Alabama, al quale è stato negato il permesso di avere accanto il pastore Robert Wiley jr. nel giorno della sua esecuzione, prevista per l’11 febbraio. La Corte d’appello dell’11° circuito – che comprende, oltre all’Alabama, le Georgia e la Florida – ha ordinato la sospensione della pena poche ore prima dell’esecuzione perché ha ritenuto che negare il diritto all’assistenza spirituale nella camera d’esecuzione costituisca una violazione della libertà religiosa, difesa costituzionalmente dal Primo emendamento, e dal Religious Land Use and Institutionalized Persons Act del 2000, che protegge il diritto al rispetto dei principi religiosi dei carcerati. Inoltre, la Corte d’appello ha ritenuto che al detenuto non sia stata fornita un’assistenza adeguata nella compilazione dei moduli riguardanti l’esecuzione. Lo stato dell’Alabama presenterà ricorso alla Corte suprema perché vuole essere il primo stato ad eseguire la pena capitale nel 2021.
Sembra quindi che la questione della pena di morte continuerà anche quest’anno ad alimentare il dibattito politico e lo scontro tra i suoi sostenitori e oppositori.