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Stop esportazioni armi, soddisfazione della pastora Green

Da sempre impegnata nel Comitato di riconversione della fabbrica Rwm, la pastora della Chiesa battista di Carbonia e del Sulcis Iglesiente: «Ora pensare al lavoro in una fra le terre più depresse d'Italia»

Il 29 gennaio con una decisione di portata storica il Governo italiano ha deciso di revocare, non solo sospendere, le autorizzazioni in corso per l’esportazione di missili e bombe verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, utilizzati da anni nella sanguinosa guerra contro lo Yemen.

La decisione è stata presa per la prima volta dopo trent’anni dall’entrata in vigore della legge 185/1990, inerente al divieto dell’export di armi verso paesi che non rispettano i diritti umani, e riguarderebbe almeno 6 diverse autorizzazioni, già sospese nel luglio 2019. Tra queste rientra la licenza MAE 45560 del 2016, durante il governo Renzi, con cui venivano concesse all’Arabia Saudita quasi 20.000 bombe aeree della serie MK per un valore di oltre 411 milioni di euro. Secondo le elaborazioni di Rete Pace Disarmo e Opal la revoca di questa sola licenza cancellerà la fornitura di oltre 12.700 ordigni.

Tra gli ordigni ritrovati dai ricercatori dell’Onu in Yemen figurano anche le bombe della serie «mk80» prodotte dalla RWM Italia, fabbrica del gruppo tedesco Rheinmettal, sita a pochi chilometri da Iglesias (Sardegna), e vendute all’Arabia Saudita, che le ha utilizzate contro lo Yemen in una guerra che dura da circa sei anni e che finora ha provocato 230mila vittime.

Si tratta di «una decisione – ha dichiarato la Rete Italiana Pace e Disarmo – che pone fine, una volta per tutte, alla possibilità che migliaia di ordigni fabbricati in Italia possano colpire strutture civili, causare vittime tra la popolazione o possano contribuire a peggiorare la già grave situazione umanitaria nel Paese (Yemen, ndr.). Un atto che, soprattutto, permette all’Italia di essere più autorevole sul piano diplomatico nella richiesta di una soluzione politica al conflitto».

Della Rete Italiana Pace e Disarmo fa parte anche il Comitato Riconversione Rwm per la pace e il lavoro sostenibile (a cui aderisce anche la commissione Globalizzazione e Ambiente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia) che ha tra i suoi soci fondatori la chiesa battista di Carbonia e del Sulcis Iglesiente. La pastora Elizabeth Green, che ha dato in questi anni il suo contributo di presenza e riflessione al Comitato, ha dichiarato: «Mi ha sempre colpito che due periferie del mondo la Sardegna e lo Yemen (ambedue zone di una storia antichissima e di reperti archeologici unici) fossero unite, dalla produzione di bombe, da una parte, e dalla loro ricezione, dall’altra. Ambedue pedine in un gioco micidiale condotto da poteri più grandi di loro: il Governo italiano e la potente industria delle armi, e l’Arabia saudita con tutte le sue mire sul territorio yemenita. Per il momento questa particolarissima partita si è conclusa con la sospensione della vendita di armi verso l’Arabia Saudita. Come soci fondatori del Comitato per la riconversione della RWM, fabbrica a Domusnovas che produce gli ordigni, la chiesa battista di Carbonia e del Sulcis Iglesiente non può che plaudire la decisione del Governo. Il problema ora rimane un altro: pensare che una fabbrica come la RWM possa garantire posti di lavoro stabili (l’argomento adottato dai politici locali di ogni colore) è illusorio. Di fatto solo una parte dei posti di lavoro alla RWM erano fissi, la maggior parte degli operai invece erano assunti all’occorrenza con contratti brevi e a termine. Così l’urgenza ora è pensare come creare un lavoro sostenibile per una zona tra le più povere dell’Italia».

Con lo stop alle licenze di esportazione di armi si fa critico il futuro dei circa 200 lavoratori, fra diretti e indiretti, della fabbrica di Domusnovas. Chi governa è chiamato a mettere in campo scelte che tutelino il lavoro, i lavoratori e l’ambiente. «Il Comitato di riconversione, sostenuto dalla Chiesa evangelica del Baden e dall’8 per mille della Chiesa valdese – aggiunge la pastora Green –, ha ideato una rete di piccoli produttori uniti dalla marca “warfree”. Ma è evidente che la capacità di ripensare e ricreare il lavoro, di cui questa parte della Sardegna ha bisogno urgente, necessiti di forze maggiori e soprattutto di volontà politica. Che non proviene dallo stoccaggio di rifiuti nucleari come qualcuno, mi sembra, abbia suggerito».

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