La pandemia aumenta le disuguaglianze sociali
27 gennaio 2021
Gli studi appena pubblicati dalla Ong Oxfam, in parte in collaborazione anche con la Diaconia valdese, evidenziano la crescita delle disparità economiche e quindi sociali. Intervista a Roberto Barbieri, Direttore generale di Oxfam Italia
La pandemia come amplificatore delle diseguaglianze economiche del mondo.
In estrema sintesi è quanto emerge dai rapporti che la Ong Oxfam, che da oltre 70 anni combatte povertà e per l’appunto diseguaglianze nel mondo, ha presentato in questi giorni. Una scelta di date non casuale perché proprio questa settimana i “potenti” del mondo, politici, economisti e imprenditori sono riuniti per il Forum economico mondiale, quest’anno in forma virtuale e non nelle consuete ovattate stanze di Davos sulle Alpi svizzere.
Il “virus della diseguaglianza” è il nome del rapporto che si occupa della situazione mondiale, e “Disuguitalia 2021” il nome dello studio che si focalizza sul nostro Paese. Nella stesura di quest’ultimo ha partecipato per alcuni ambiti anche la Diaconia valdese.
Ne parliamo con Roberto Barbieri, Direttore generale di Oxfam Italia.
Quali sono gli elementi generali che emergono dai vostri studi?
«Emerge come tratto distintivo che la diseguaglianza nel mondo è aumentata per effetto della pandemia. Ci siamo affidati a quasi 300 economisti in 79 paesi, autorevoli professionisti con il polso della situazione e il 90% fra loro dice che si aspetta un ulteriore aumento delle diseguaglianze nel futuro.
Quello che noi abbiamo visto è che, se in questi nove mesi tutti hanno effetti depressivi per quanto riguarda le economie, cioè hanno patito un calo dei loro redditi e della ricchezza, il rimbalzo per i più ricchi, per i miliardari è stato molto rapido; mettiamo infatti in evidenza che nell’arco dei 9 mesi costoro hanno recuperato e sono andati oltre al livello di ricchezza detenuto precedentemente alla pandemia. Si tratta di cifre importanti, un’impennata di quasi 4 mila miliardi che ha portato complessivamente la ricchezza dei miliardari nel mondo a circa 12 mila miliardi, che è l’equivalente di quanto speso dai governi del G20 in risposta alla pandemia.
Per qualcuno dunque il rimbalzo è già avvenuto, mentre per la maggior parte della popolazione mondiale il rimbalzo arriverà probabilmente nell’arco dei 10 anni. Il virus influisce anche in realtà sulle stime dei nuovi poveri avute nel 2020, che secondo la Banca Mondiale sono circa 570 milioni in più in questi nove mesi, un numero molto rilevante».
Perché così tanti nuovi poveri?
«Nella gran parte dei Paesi del mondo non ci sono state o sono state molto deboli le risposte economiche straordinarie per contrastare gli effetti della pandemia, quindi in gran parte del mondo, con sistemi di lavoro completamente informali di fatto non sono arrivati aiuti, o ci sono nazioni che hanno allocato poche risorse a tali scopi. A ciò si somma il tema dell’accesso ai vaccini che sappiamo appannaggio prevalentemente delle nazioni più ricche. L’accesso universale, senza costi per la popolazione, ai vaccini è un aspetto di diritto alla salute ma sarà anche un tema economico perché quanto più le popolazioni degli Stati saranno immuni attraverso il vaccino tanto più la loro economia potrà riprendere più rapidamente anche per ragioni di esclusione che si creeranno (passaporti immunitari di cui si sente parlare e che influenzeranno economia, viaggi, turismo, quant’altro). La pandemia è andata a esacerbare quella che era una situazione di diseguaglianze crescenti negli ultimi 40 anni»
Proprio nei giorni in cui i vostri rapporti diventano pubblici i “potenti” del mondo sono riuniti nel World Economic Forum; cosa ci deve attendere da loro, cosa reclamare?
«Questa situazione della pandemia altro non mostra che non ci può essere una reale prosperità economica e sociale se non c’è una visione di lungo periodo degli Stati e dei decisori, delle imprese, delle multinazionali, se larghe parti della popolazione mondiale sono escluse dalle misure in atto. Il combattere la diseguaglianza estrema è un tema oltre che di giustizia sociale anche di tenuta complessiva del sistema economico. Non possiamo avere un mondo sempre più diviso da un punto di vista della distribuzione delle risorse sperando che tutto continui come nulla fosse; a un certo punto il sistema si rompe, banalmente da un punto di vista economico perché mancano coloro che possono acquistare merci e servizi, e inoltre perché viene meno la coesione sociale, il patto fondante fra cittadini e Stato in un contesto di significativa disuguaglianza».
E in Italia?
«La situazione italiana non differisce molto dal quadro internazionale: c’è un dato che sul rapporto è presente e che da il metro quantitativo delle diseguaglianze. La ricchezza dei 36 miliardari italiani è accresciuta in pandemia di 45,7 miliardi, stime Forbes. Banalmente dividendo questa cifra si ottengono 7500 euro di aiuti per ciascuno dei 6 milioni di italiani più poveri. La spesa per il personale sanitario in Italia negli stessi 9 mesi è di 21,4 miliardi, la metà di quanto guadagnato dai 36 più ricchi. Tradurre queste cifre in questi esempi pratici aiuta meglio a comprendere di quanto ampie sono le forbici di disparità. Chiaramente siamo nella parte di mondo in cui le risposte in termini di aiuto all’economia sono stati possibili e abbiamo visto che la diseguaglianza è in parte diminuita grazie a queste misure. Abbiamo retribuzioni che hanno avuto un calo medio del 21%, cioè il 18% per i dipendenti e il 35% per i lavoratori autonomi. Gli effetti redistributivi degli aiuti governativi o dei blocchi ai licenziamenti hanno avuto un effetto di parziale riequilibrio, anche se stiamo sempre parlando di medie. Vediamo che dalle stime di economisti e della Banca d’Italia è aumentata l’incidenza della povertà del 2% e senza le misure emergenziali saremmo stati di fronte a cali 4 volte superiori. Vi sono però sacche di significativa inefficienza e parte delle persone che non hanno beneficiato di tutto quanto appena raccontato, e di ciò vediamo gli effetti anche nelle indagini e nel lavoro svolto con la Diaconia valdese nei Community Center.
Ecco, veniamo ai Community Center, che sono dei veri e propri avamposti sui territori in cui operano (Torino, Milano, Bologna, Empoli, Prato, Firenze, Campi Bisenzio, Arezzo, Napoli e Catania), luoghi in cui si intercettano le criticità sociali. Avete notato un mutamento dell’utenza tipo?
«Intanto l’utenza è aumentata molto; i Community sono centri di welfare comunitario, hanno cioè permesso una tenuta del sistema sociale in aggiunta alle misure economiche, in alcuni casi perché hanno consentito di facilitare l’accesso a diritti a cittadini che non ne avevano informazione (se posso usufruire ad esempio del reddito di emergenza o di cittadinanza devo intanto saperlo ed essere poi in grado di accedervi) e nei mesi duri del lockdown gli uffici pubblici hanno avuto enormi restrizioni di accesso, la comunicazione poi non è stata efficace, e tutto ciò è stato in grande parte assorbito dal terzo settore e ha realtà quali i Community Center, perché siamo stati aperti o ci siamo adattati molto più rapidamente a nuove modalità di lavoro, telematica in particolare, e ciò ha consentito di far beneficiare persone a strumenti governativi di cui non sarebbero stati a conoscenza o non avrebbero saputo come usufruirne. Stesso discorso si può fare con le persone migranti: con i decreti Salvini molti fra coloro che usufruivano della protezione internazionale e avevano il permesso di soggiorno in scadenza sono diventati in qualche modo illegali sul nostro territorio, e si sono trovate modalità di aiuto a persone di fatto cadute nell’illegalità. C’è poi il tema dell’alloggio: molte persone vulnerabili erano in condizioni di subaffitto: nel momento in cui veniva meno il loro reddito si sono ritrovate per strada, per cui parte dei Community Center si sono anche spesi in distribuzione di cibo o nel trovare soluzioni abitative emergenziali. Si tratta di modalità di intervento molto flessibili ma molto efficaci che hanno garantito la tenuta sociale in molte aree. E questo lavoro sui centri comunitari lo immaginiamo anche proiettato nel futuro, in quanto si dovranno rafforzare le risposte di welfare comunitario perché per quanto possono essere efficienti i vari Recovery Plan e le misure economiche che verranno, abbiamo rilevato che è assolutamente necessario avere dei canali di contatto con i cittadini che siano effettivamente accessibili per rendere efficaci alcune di queste misure. Vediamo dunque evolversi questo ambito ed è la sfida che ci tiene insieme anche alla Diaconia valdese».