Tornare a Cristo
19 gennaio 2021
Un bilancio sull’ecumenismo in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
Si svolge, dal 18 al 25 gennaio l'ormai consolidata Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (Spuc) sul tema tratto dal Vangelo di Giovanni 15, 1-17: «Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto». Un appuntamento che coinvolge anche le chiese protestanti italiane, presenti e attive in numerose iniziative per questo evento ecumenico di carattere mondiale promosso congiuntamente dalla Commissione fede e costituzione del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), che riunisce le principali denominazioni evangeliche, anglicane e ortodosse nel mondo, e il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. I materiali per la Spuc 2021 sono stati preparati da cinquanta diaconesse della Comunità di Grandchamp, in Svizzera. Con il pastore valdese Pawel Gajewski, nuovo coordinatore della Commissione consultiva per le relazioni ecumeniche delle chiese battiste, metodiste e valdesi, ci siamo interrogati sullo stato di salute dell'ecumenismo.
Il cristianesimo è ormai minoritario nella società e la pandemia rende ancora più difficile varcare la soglia delle chiese. Come possono i cristiani resistere e trovare nuova forza per la loro testimonianza?
Se esaminiamo la storia del cristianesimo in una prospettiva planetaria, scopriamo facilmente che la fede cristiana non è stata mai maggioritaria. La dimensione maggioritaria del cristianesimo si è indubbiamente manifestata nella cultura occidentale ma oggi l’intero impianto sociale e culturale dell’occidente attraversa una crisi assai profonda. Se ci allontaniamo solo un po’ da questo impianto scorgiamo invece che il cristianesimo è vivo, vivace e, talvolta, maggioritario in molti paesi dell’Africa, dell’Asia, dell’America del Sud. Credo che in ogni processo o evento storico ci sia sempre un momento propizio per un cambio di prospettiva e di mentalità. Secondo me, la crisi del cristianesimo occidentale e delle sue obsolete istituzioni ecclesiastiche, resa ancora più visibile dalla pandemia, è un kairos, un tempo propizio per liberarci dall’ecclesiocentrismo e tornare al cristocentrismo. Solo in Cristo possiamo trovare forza, ispirazione e coraggio necessari per testimoniare efficacemente l’Evangelo della Grazia.
La Settima in questione è principalmente un momento di preghiera. Non ci dimentichiamo troppo spesso che l’unità è un dono di Dio?
Il dono non esclude la preghiera, specialmente se si tratta di una preghiera di lode. La Chiesa di Gesù Cristo, nella sua accezione teologica più profonda, non è divisa perché il suo fondamento è divino e non umano. Le nostre divisioni umane oscurano questa sostanziale unità ma non la danneggiano. Quando cristiane e cristiani di confessioni diverse pregano insieme, l’unità della Chiesa si manifesta visibilmente. Sono convinto che l’unità dei cristiani intesa come un’unica istituzione ecclesiastica sia una pericolosa utopia. Per me sarebbe sufficiente un reciproco riconoscimento della nostra comune appartenenza all’unica Chiesa di Gesù Cristo. Il segno visibile di tale riconoscimento è la condivisione del pane e del vino, vale a dire la piena ospitalità eucaristica. In questo ambito noto una sorta di asimmetria. Generalmente le chiese della Riforma, inclusa ovviamente la Comunione anglicana, praticano tale ospitalità senza problemi. Le chiese ortodosse la offrono a tutti gli altri cristiani in modo simbolico, riservando tuttavia la piena partecipazione all’eucaristia ai propri membri. La chiesa cattolica e le chiese evangeliche di matrice neofondamentalista invece non ammettono ufficialmente nessun tipo di ospitalità. Il problema sta proprio lì.
I cristiani avvertono sempre di più l’esigenza di interloquire con le altre religioni. La loro teologia ne esce indebolita o rafforzata?
Laddove il dialogo interreligioso è praticato in maniera sincera, aperta e profonda la teologia cristiana si rafforza e si aggiorna. Ovviamente bisogna evitare due derive abbastanza insidiose. Da una parte c’è la deriva del sincretismo che oggi va anche di moda; una specie di patchwork religioso, talvolta addirittura abbastanza armonioso nei colori, ma poco utile per una profonda esperienza di fede. Dall’altra parte si cela il proselitismo che non dialoga realmente e cerca soltanto di convincere l’altra parte delle proprie ragioni e delle proprie verità che non sono mai la Verità. Dialogare con le altre fedi viventi aiuta a ridimensionare le posizioni teologiche che tuttora dividono la cristianità; percepiamo che tali posizioni sono pensieri puramente umani che non hanno nulla a che vedere con la fede profonda e genuina. Scopriamo anche che le altre comunità, come ad esempio i musulmani, vivono le stesse problematiche e impariamo a risolverle insieme.
Tratto da chiesavaldese.org