Il rock’n’roll con tanta anima
09 dicembre 2020
Fede, Dio, musica e comunità nelle canzoni di padre Massimo Granieri
Se vuoi avere l’attenzione di qualcuno, raccontagli una storia.
Sono tante le storie dietro le canzoni di Massimo Granieri, talmente tante da riempire blog, programmi radiofonici e libri. Due libri per l’esattezza, il primo uscito nel 2018, Il Vangelo secondo il rock, e Il rock’n’roll con tanta anima, uscito da poco, entrambi editi da Claudiana.
Parliamo del secondo in particolare che raccoglie in ogni capitolo un’esperienza, uno sguardo e una lettura su diversi artisti il cui lavoro è stato raccolto nelle pagine del libro sotto la parola “anima” che sta nel titolo del volume. Artisti la cui anima, attraverso la musica, parla all’autore. E Granieri, forse anche per deformazione professionale, restituisce questo sguardo arricchendolo della propria voce. Si forma quindi un coro di uomini e donne tenuti uniti dalla musica: una definizione abbastanza precisa di Chiesa.
Un libro che è testimonianza di vera fede e che invita a viverla insieme, attraverso le canzoni che si avrà inevitabilmente voglia di andare ad ascoltare appena vengono citate.
Here is a page
From the emptiest stage
A cage or the heaviest cross ever made
A gauge of the deadliest trap ever laid
And I thank you
For bringing me here
For showing me home
For singing these tears
Finally I've found
That I belong here
“Ecco una pagina dal palcoscenico deserto, una gabbia o la croce più pesante croce mai costruita, una misura della trappola più mortale mai tesa.
E ti ringrazio per avermi portato qui, per avermi mostrato la mia casa, per aver cantato queste lacrime. Finalmente ho scoperto che io appartengo a questo posto”.
La testimonianza di Massimo Granieri, sacerdote passionista e parroco a Laurignano, è che la musica è il mezzo per leggere la realtà, per leggersi dentro e per interrogare Dio, che sia attraverso un Salmo a grazie a un pezzo dei Depeche Mode.
Si parla di anima prescindere dall’accostamento a un’appartenenza religiosa, è questa una caratteristica importante del libro?
«Si, è il filo rosso che collega tutti i capitoli. Si parla di canzoni che si intrecciano alla vita e che hanno potenziato al massimo la sensibilità religiosa e dunque toccano l’anima di chi ha scritto, di chi ha ascoltato e spero anche dei lettori».
Lei inserisce nel libro una citazione di Bob Dylan che dice: le canzoni non sono letteratura, bisogna cantarle non leggerle. Che significa questo per lei?
«Significa che ciascuno può cantarle e può ascoltarle a modo proprio. C’è una tendenza della critica musicale di spiegare a tutti i costi, di sviscerare il disco togliendo, però, all’ascoltatore il gusto di poter fare della canzone ciò che vuole. In fondo Bob Dylan ce lo insegna: è stato uno degli artisti più analizzati dalla critica musicale e anche dalla critica letteraria. Lui invece ci dà le canzoni e ciascuno può cavarne la propria storia e farne ciò che vuole, e non necessariamente le canzoni devono essere capite o comprese. L’importante è che i brani che ascoltiamo siano capaci di darci qualcosa, di darci bellezza e il gusto per la vita».
Una curiosità sulla struttura del libro: c’è un qualche ordine di tipo escatologico o anche solo un pensiero dietro?
«Alla fine quando ho riletto il libro, si. Mentre lo scrivevo non me ne sono accorto. I capitoli accompagnano un po’ il mio percorso, ecco perché la musica poi si intreccia, si innesta nella vita di tutti i giorni. Mentre vivevo certe situazioni ascoltavo un certo tipo di musica e ascoltandola ho cercato in qualche modo un dialogo con Dio, un dialogo con me stesso e un dialogo con la comunità che mi sta intorno e in cui vivo. Sicuramente c’è questa tensione verso l’altro ma anche una richiesta a Dio di affrettarsi a manifestarsi nelle situazioni difficili che ho vissuto e che tutti, credo, viviamo».
Le interviste a Bugo, Luca Madonia e Patti Smith inserite nel libro, che esperienza sono state?
Sono state esperienza straordinarie. Nel corso della mia vita ho incontrato diversi artisti e spesso ne sono rimasto scottato. Quante volte sono tornato a casa e ho buttato nella pattumiera i dischi di artisti che ascoltavo e che poi ho intervistato. Invece ho voluto raccogliere queste tre esperienze perché si tratta di tre artisti umanamente belli. E non è cosa comune nel mondo della musica, non sempre gli artisti sono belli come le canzoni che scrivono. In questo caso invece c’è questa parità. Sono artisti belli dentro che hanno molto da comunicare e lo hanno dimostrato in questa esperienza. Un’esperienza fortissima di amicizia e di conoscenza».
Non possiamo non fare una riflessione, la fa anche lei nel libro, sul periodo particolare in cui il libro esce. Cosa ha significato per lei la musica in questi mesi e nelle circostanze più difficili?
Una salvezza, un’ ancora, un'isola felice. Ma anche qualcosa che mi ha fatto aprire gli occhi ancora di più di fronte alla realtà che abbiamo vissuto. Per me la musica è stata un’esperienza di salvezza e lo è tutt’ora perché molti sentimenti, molte storie ingarbugliate sono riuscito ad accettarle, non dico a comprenderle perché non tutto si può capire della vita, ma sono riuscito a fare questo tipo di accoglienza della storia e delle difficoltà mie e delle persone che il Signore mi ha affidato, attraverso le canzoni».
Secondo lei chi sa ascoltare la musica sa ascoltare gli altri?
«Assolutamente si. Sono stato formatore di ragazzi che si sono preparati al sacerdozio e molto spesso consigliavo ai miei studenti di andare in un negozio di musica o di leggere un libro. Fare spazio ad un’opera d’arte, può essere un libro, può essere un film, può essere qualsiasi altra forma artistica, ci decentra e fa spazio a un’altra persona che magari attraverso una canzone racconta la sua storia, che probabilmente assomiglia alla nostra».