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La chiamata di Dio

Un giorno una parola – commento a II Timoteo 1, 9

Per amore del mio nome io rinvierò la mia ira, e per amor della mia gloria io mi freno per non sterminarti
Isaia 48, 9

Egli ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall’eternità
II Timoteo 1, 9

In nessun modo la chiamata che Dio ci rivolge può essere fatta dipendere dalle nostre opere, per il fatto stesso che essa ci è stata rivolta fin dall’eternità, prima che venissimo al mondo, prima che avessimo fatto qualcosa di buono. Essa ha la sua origine e la sua motivazione nel “proposito”, nella libera scelta, di Dio, che si rivelerà in Cristo Gesù. Ora il cerchio si chiude e si fa anche toccare con mano: l’eternità in cui Dio prende le sue decisioni si fa presente in Cristo.  

Gesù Cristo ci salva ed è qui con noi per rivolgerci quella chiamata che vuol fare di noi persone unite a lui come il tralcio sta unito alla vite da cui trae linfa e nutrimento. Ora e solo ora, il tralcio è messo in condizione di portare frutto; “senza di me non potete far nulla”, chiarisce Gesù, parlando alle persone che lo seguono (Giovanni 15, 5).

Il pudore, o la (falsa) modestia, affiora in noi quando pensiamo di essere persone migliori di altri, in grado di portare frutto. Si tratta di sensazioni false, perché non ci è detto che nel portare frutti siamo autorizzati a trarne motivo di orgoglio. Ci è detto che possiamo godere dei frutti e che possiamo rallegrarcene, come in Israele si rallegravano per la festa delle primizie e del raccolto. Anzi se ne rallegravano assieme a parenti e amici, vicini di casa ricchi e bisognosi e, finanche, assieme allo straniero che soggiornava con loro (Deuteronomio 26, 11). Per Israele la terra che Dio aveva loro dato e i frutti della terra erano motivo di gioia; per noi la gioia sta nel riconoscere che è la linfa vitale di Cristo che ci permette di portare il frutto di cui godiamo e c’è ancora più gioia nel condividerlo, sia esso spirituale o materiale, con quanti ci è possibile raggiungere con la parola e con i gesti.

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