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Scuola, pandemia, religione e ore alternative

Il Covid fa emergere anche carenze e problematiche tuttora presenti nei nostri istituti scolastici

«“Mamma, ma perché devo essere l’unica a uscire dalla classe quando c’è religione? Voglio restare in classe con i miei compagni”». L’ odissea dei bimbi e delle bimbe che non frequentano l’ora di religione e dei loro genitori nella scuola italiana sembra non avere mai fine e si aggrava in condizioni di emergenza». Così inizia una lettera del Comitato “Priorità alla Scuola”, formato da genitori, docenti, personale Ata e studenti, che da aprile chiede la riapertura delle scuole in presenza, continuità e sicurezza.

Una mamma scrive: «Pochi giorni fa alla classica domanda “Cosa hai fatto oggi a scuola?” mia figlia di 9 anni a sorpresa mi ha risposto: “Ho fatto religione”. Abbozzo un sorriso, è così contenta di essere tornata a scuola dopo 7 mesi... Che cosa dovrei dirle?». Un’altra voce: “Quest’anno quando i docenti di alternativa saranno assenti gli alunni e le alunne che non si avvalgono dell’insegnamento della Rc [religione cattolica] devono restare in classe con l’insegnante di Rc perché non possono essere smistati nelle altre classi come gli anni passati”.

«Tra i tantissimi problemi con cui hanno riaperto le scuole italiane – scrive il Comitato – c’è anche la “questione di Alternativa”: con molte differenze tra scuola e scuola, abbiamo ricevuto diverse segnalazioni di bambini costretti a rimanere in classe con l’insegnante di Religione Cattolica o di genitori caldamente invitati dalla scuola ad accompagnare i figli due ore dopo o ritirarli due ore prima, anche alla scuola primaria. Molti hanno accettato, hanno rinunciato a un diritto e a due ore di didattica alla settimana per “aiutare” la scuola in un momento di emergenza pensando che con l’avvio dell’anno scolastico le cose si sarebbero sistemate, oppure convinti che si tratti del sacrificio di un anno e basta. Ma quello che come “Priorità alla scuola” stiamo dicendo a genitori, docenti e rappresentanti in Consiglio di Istituto è: l’unico modo per aiutare la scuola pubblica è difenderla metro per metro, spazio per spazio. Ogni laboratorio cancellato, ogni biblioteca trasformata in stanza covid, ogni attività sacrificata, dall’educazione fisica alla musica con strumento è una perdita di qualità didattica. E nessuno ci garantisce che passata l’emergenza tutto torni come prima. Anzi in particolare i segnali su Alternativa sono di tutt’altro segno». 

«Entro il 31 ottobre – prosegue il testo – i Consigli di Istituto devono pubblicare la versione aggiornata del Piano triennale di Offerta formativa. Alcuni istituti hanno tolto “Alternativa” dalle materie curricolari (2h a settimana) e al suo posto hanno inserito “proposte alternative a Irc, fatto salvo la disponibilità di spazi e docenti disponibili”. In questo modo una misura passata per emergenziale diventa strutturale. Apparentemente non sembra un attacco politico alla laicità della scuola pubblica, ma di fatto lo è. Non c’è scritto da nessuna parte che se c’è una sola aula disponibile, Irc abbia la precedenza rispetto ad Alternativa. Così come non è lecito che ogni Dirigente scolastico a inizio anno non richieda tutto l’organico necessario, incluso quello per Alternativa».

Non solo: «occorrerà vigilare perché Educazione civica, appena reinserita dal Miur tra le materie scolastiche, venga svolta da docenti statali e non da quelli di Irc scelti dalla Curia».

«I genitori degli iscritti ad Alternativa – conclude la lettera – hanno tutti gli strumenti della giurisprudenza per fare valere i loro diritti, anche in corso d’anno. Possono inviare una diffida tramite Pec alla scuola (il modello è scaricabile sul sito di UAAR) e soprattutto possono segnalare le modifiche al Ptof all’Ufficio Scolastico Regione e Territoriale. (...). Possibile che si debba ricorrere alle vie legali per vedersi riconosciuto un diritto fondamentale? Abbiamo dunque una battaglia culturale ancora lunga da combattere e che ci riguarda tutti: quella in difesa della laicità della scuola (e dello Stato) e dell’inclusione perché nessuno possa sentirsi discriminato tra i banchi di scuola».

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