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Migranti, il “distanziamento sociale” prima ancora del Covid

I dati del Dossier statistico immigrazione 2020 del Centro studi Idos, realizzato in collaborazione con Confronti e con il contributo dell'Otto per mille valdese e metodista, presentati il 28 ottobre

«Nessuna menzogna può vivere per sempre»: così disse Martin Luther King e con questa citazione il pastore della chiesa valdese di Roma Marco Fornerone ha introdotto ieri la presentazione del 30^ Dossier statistico immigrazione, realizzato dal Centro studi IDOS con la collaborazione di Confronti.

E le menzogne, le fake news, le “bufale” sono all’ordine del giorno, quando si parla di migrazioni. Per questo, i dati del dossier, aggiornati ogni anno, diventano uno strumento utile per chiunque si occupi a vario titolo di fenomeno migratorio.

«Nella nostra storia di minoranza ha avuto una grande importanza la rappresentazione della realtà”, ha aggiunto Fornerone, elencando questo tra i motivi del sostegno della Tavola valdese al progetto del dossier “insieme all’accoglienza e all’urgenza di lavorare per la giustizia, che ha bisogno di verità».

Distanziamento sociale ante litteram

In un’epoca in cui il distanziamento sociale o interpersonale è cruciale per combattere l’emergenza sanitaria, i migranti rappresentano in qualche modo una popolazione che già prima della pandemia osservava questa raccomandazione: «è bene tenerli a distanza, ridurli a schermo piatto, come nella copertina del dossier, pronti a essere messi off lin», così ha descritto il “clima di diffidenza” verso le persone migranti dal presidente IDOS Luca Di Sciullo. «Il “capro espiatorio” è il più inerme – ha continuato – , ha meno diritti di tutti, non gli vengono riconosciuti i diritti di tutti: in questo ruolo lo straniero calza a pennello».

In Italia, oltre 800mila nati in Italia non hanno la cittadinanza italiana, “per una legge antiquata che risale a 28 anni e che nessun governo ha mai voluto riformare”, ha aggiunto Di Sciullo.

Cosa succede nel Mediterraneo: frontiere impermeabili

Gli accordi con la Libia e la Turchia sono un elemento-chiave delle politiche comunitarie e nazionali. «A luglio 2020 per il quarto anno consecutivo il Parlamento italiano ha rivotato il rifinanziamento – 58 milioni di euro – la missione di “recupero e salvataggio" in mare da parte della guardia costiera libica: sulla questione dei migranti vige un pensiero unico», ha ricordato, polemicamente, il presidente IDOS. «I confini li abbiamo trasferiti fuori di noi pur di non vederli. L’esternalizzazione delle frontiere, attraverso il finanziamento a Paesi terzi, è il sintomo di qualcosa di più profondo».

I dati, si diceva. Cosa dicono “i numeri”, i dati del 2019, sulle vite delle persone immigrate in Italia e in Europa?

«A fronte di un lievissimo aumento netto annuo di residenti stranieri in Italia – si legge nel dossier -, che a fine 2019 sono in totale 5.306.500 (appena 47.100 in più rispetto all’anno precedente: +0,9%), l’8,8% della popolazione complessiva del paese, i soli non comunitari regolarmente soggiornanti hanno conosciuto, per la prima volta dopo vari anni, una diminuzione del loro numero, calato di ben 101.600 unità (-2,7%) e giunto così a poco più 3.615.000 (erano 3.717.000 a fine 2018). In maniera corrispondente a tale diminuzione, è probabilmente aumentata la presenza di non comunitari irregolari, i quali, stimati in 562.000 a fine 2018 (Ismu) e calcolato che – anche per effetto del “Decreto sicurezza” varato in tale anno – sarebbero cresciuti di ben 120-140.000 unità nei due anni successivi (Ispi), a fine 2019 erano già stimati in oltre 610.000 e a fine 2020 avrebbero plausibilmente sfiorato i 700.000 se, nel frattempo, non fosse intervenuta la regolarizzazione della scorsa estate a farne emergere (almeno temporaneamente, in base al numero di domande presentate) circa 220.500».

Migranti e lavoro

Il decreto sicurezza e la politica dei respingimenti si sono sommati al fatto che «Gli ingressi per lavoro stabile sono sostanzialmente bloccati da dieci anni», ha aggiunto Di Sciullo.

«I 2.505.000 stranieri – continua il dossier – che hanno lavorato regolarmente in Italia nel 2019 (solo per il 43,7% donne) sono arrivati a costituire il 10,7% di tutti gli occupati a livello nazionale, a fronte di 402.000 stranieri disoccupati (di cui le donne rappresentano stavolta ben il 52,7%) che sono giunti a incidere per il 15,6% tra tutti i disoccupati del paese.

Il fatto che gli stranieri abbiano più alto, rispetto agli italiani, sia il tasso di occupazione (61,0% contro 58,8%) sia quello di disoccupazione (13,8% contro 9,5%) attesta, al di là dell’apparente contraddizione, la maggiore labi- lità e temporaneità degli impieghi, spesso a singhiozzo, loro riservati (sono sottoccupati per il 6,8%, contro il 3,3% dei lavoratori italiani).

Il mercato del lavoro italiano appare ancora rigidamente scisso su base “etnica”, con le occupazioni più rischiose, di fatica, di bassa manovalanza, precarie e sottopagate massicciamente riservate agli stranieri, che vi restano inchiodati anche dopo anni di servizio e di permanenza nel paese: circa 2 su 3 di essi svolgono lavori non qualificati o operai (63,3%, contro solo il 29,6% degli italiani), mentre ha un impiego qualificato solo il 7,6% (tra gli italiani ben il 38,7%). Una situazione che migliora solo parzialmente tra chi detiene un titolo elevato di studio: se laureati, infatti, gli stranieri svolgono professioni a bassa qualificazione “solo” nel 28,8% dei casi (a fronte di appena l’1,9% degli italiani)».

Gli stipendi, per i migranti, sono sempre più bassi: «i lavoratori stranieri conoscono uno scarto negativo del 24% nella retribuzione netta media mensile rispetto ai colleghi italiani».

Infine, l’emergenza sanitaria ed economica causata dal Covid-19, «i cui effetti sul mercato del lavoro saranno chiari solo a fine anno», ma che certamente avrà un impatto particolarmente negativo sulle fasce più vulnerabili: «già dai primi mesi ha determinato per molti immigrati un peggioramento delle condizioni occupazionali».

 

 

 

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