La vicinanza di Dio
29 ottobre 2020
Un giorno una parola – commento a Deuteronomio 4, 2
Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla, ma osserverete i comandamenti del Signore vostro Dio, che io vi prescrivo
Deuteronomio 4, 2
Carissimi, non vi scrivo un comandamento nuovo, ma un comandamento vecchio che avevate fin da principio: il comandamento vecchio è la parola che avete udita
I Giovanni 2, 7
Da dove nasce la convinzione identitaria dell’ebreo che è nelle pianure di Moab e si accinge ad entrare nella Terra promessa, di non essere più schiavo? Nasce dall’aver vissuto il processo di liberazione dalla schiavitù in Egitto. La logica del padrone schiavo è descritta da Hegel come un conflitto tra il desiderio dell’uomo di sottomettere l’altro e il desiderio dello schiavo di essere libero. Solo quando lo schiavo per paura della morte consegna al padrone il suo desiderio diventa veramente schiavo. Per diventare libero dovrà prima superare la sua paura alla morte. La preghiera dello schiavo in Egitto a un Dio, di cui non conosceva ormai nemmeno il Nome, era descritta così in Esodo 2, 23: I figli d'Israele gemevano a causa della schiavitù e alzavano delle grida; e le grida che la schiavitù strappava loro salirono a Dio. Il grido, l’urlo della sofferenza non è in sé preghiera, dialogo, parola, perché ci sia dialogo ci dev’essere un soggetto umano (e libero) che parla con un altro soggetto libero.
La svolta è data dalle dieci parole, assiret haddiberotquesto è il nome che hanno i così detti comandamenti, che costituiscono il precetto fondante di Israele: lo schiavo liberato costruirà nella terra promessa una nazione santa senza schiavi né padroni di schiavi. La garanzia di questo è che “non aggiungerai né toglierai alle Parole che il tuo Dio ti ha dato”. Il testo ci dice che l’ascolto divino della sofferenza del popolo schiavo “lo avvicina” a loro, la vicinanza divina non è il risultato di quello che ha compiuto lo schiavo, ma risulta dalla sofferenza che sente lo schiavo, è il soffrire inumano dello schiavo che provoca la vicinanza di Dio. Letto in questo modo il testo del Deuteronomio significa che Israele ha vissuto nella propria storia la vicinanza divina proprio a causa della loro condizione di schiavitù e di estrema sofferenza; questa vicinanza diventa confessione di fede nel senso che la fede in Dio poggia sul fatto storico che Egli abbia accompagnato il processo che ha portato gli schiavi dalla schiavitù al servizio, per costruire sul fondamento della libertà una società umana giusta e libera dove l’essere umano non sarà più schiavo di nessuno.