La rete dell’accoglienza
21 ottobre 2020
A Ventimiglia, il lavoro degli operatori della Diaconia valdese in una nuova emergenza che la chiusura del Campo Roja, l’alluvione e l’arrivo della stagione fredda non fanno che aggravare
Dopo la testimonianza del pastore Jonathan Terino che abbiamo pubblicato qualche giorno fa, ci facciamo ora raccontare la situazione dal punto di vista della Diaconia valdese, che ha in questo momento quattro operatori a Ventimiglia: Simone Alterisio, referente di progetto, due operatrici, Alessandra Garibaldi e Costanza Amendola (che ha recentemente sostituito Gaia Pasini), e un mediatore culturale, Adam.
Alterisio ci ricorda che la presenza su Ventimiglia come progetto Open Europe è cominciata nell’agosto 2017, in collaborazione con Oxfam: «Eravamo un team mobile, che si muoveva nei vari punti della città (frontiera, stazione, accampamenti informali) per dare informazioni e orientamento legale ai migranti in transito. Da giugno dell’anno scorso Oxfam è uscito dal progetto, noi l’abbiamo implementato e abbiamo aperto uno sportello socio-legale in collaborazione con Caritas, che è diventato l’unico punto di riferimento per le persone migranti (non solo in transito) per le situazioni legali più complesse. Questo è possibile grazie all’intervento di un avvocato che viene una volta alla settimana allo sportello ma è sempre disponibile per il lavoro di documentazione e in tribunale. Oltre allo sportello, attivo dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 11, continua il lavoro del team mobile per dare sostegno e informazioni alle persone respinte al confine francese».
La grande criticità che si sono trovati ad affrontare da agosto deriva dalla chiusura del campo di transito Roja: «in questo momento non c’è alcun posto dove le persone respinte (famiglie, adulti, minori, donne sole, bambini piccoli) possano dormire, se non in accampamenti di fortuna, all’aperto», spiega Alterisio e continua: «non si capisce davvero la decisione di chiudere il campo Roja, oltretutto la fine del lockdown ha portato la ripresa degli arrivi a Ventimiglia, dalla rotta balcanica o dagli sbarchi. Da luglio gli arrivi sono ancora più numerosi di prima della pandemia, assistiamo a un centinaio di respingimenti al giorno».
L’alluvione di inizio ottobre ha peggiorato le cose, «e purtroppo dobbiamo constatare l’assenza preoccupante di intervento delle istituzioni: sono stati i volontari di alcune associazioni, il venerdì mattina, ad avvertire le persone accampate nel greto del fiume che sarebbe arrivata la piena. Sono stati ritrovati dei corpi in mare il giorno dopo, non tutti sono stati identificati, e noi non abbiamo notizie di alcuni dispersi. Non siamo ancora riusciti ad avere notizie certe perché spesso le persone accampate lì sono invisibili».
In agosto e settembre le associazioni si sono attivate per un’accoglienza di emergenza in una parrocchia di Ventimiglia, alcuni volontari hanno messo a disposizione le loro abitazioni (tra cui il pastore Terino, come raccontavamo), a breve dovrebbe esserci la disponibilità di un appartamento in collaborazione con Caritas per dare sostegno ai soggetti più vulnerabili, le famiglie con bambini piccoli. Ma sono gocce nel mare per tamponare una situazione di emergenza, serve (insiste Alterisio) «una presa di posizione a livello istituzionale, la riapertura di un centro di transito che possa dare accoglienza affinché le persone non siano costrette a dormire in condizioni di scarsa dignità e sicurezza sul greto di un fiume».
La cosa più sconcertante e che fa riflettere, sottolinea, è che «dopo tre anni di lavoro, con le associazioni e con le istituzioni, alla ricerca continua di buone prassi qualcosa si era fatto, dei canali erano stati creati. Oggi, con una decisione presa a monte, si è distrutto tutto, si è tornati a una situazione di emergenza».
L’aspetto positivo è invece la rete solida dei volontari sul territorio: ci persone sensibili e di buona volontà che rispondono agli appelli delle organizzazioni, come quello appena lanciato per nuovi volontari, per dare un aiuto concreto, anche dal punto di vista logistico, importante nelle prossime settimane. Più avanti verranno lanciati altri appelli sui canali della Diaconia valdese e di Caritas, per generi di prima necessità.
A questa rete si aggiungono anche collettivi italiani (come 20K) o europei come Kesha Niya, formato da ragazzi da tutta Europa, che ormai da anni danno ogni giorno la colazione in frontiera alle persone respinte e la cena in città alle persone che dormono in strada, e fanno un grande lavoro.
Al momento dell’intervista, qualche giorno fa, era giunta la notizia che sarebbe stata sgombrata e recintata la piazzola sulla frontiera dove Kesha Niya distribuisce il cibo, peraltro già subendo minacce e intimidazioni da parte degli abitanti, oltre al sistematico controllo dei documenti e dei mezzi dei volontari da parte della polizia. Un’altra maglia della rete che rischia di saltare, con grave danno per tutti.