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Graziella De Palo e Italo Toni, giornalisti, scomparsi il 2 settembre 1980. Ora la Procura di Roma riapre il caso

32 anni fa la scomparsa misteriosa in Libano. A dicembre 2019 la Procura di Roma ha riaperto l'inchiesta, ma ora tocca allo Stato concedere l'accesso ai documenti riservati

Graziella De Palo e Italo Toni “spariscono” il 2 settembre 1980 a Beirut dove giungono il 23 agosto dopo  una meticolosa preparazione del viaggio. Ma chi sono e perché vanno in Libano?

Sono due giornalisti: Graziella ha 24 anni e Italo 51.

Italo segue la questione palestinese da moltissimi anni ed è già noto per il suo impegno. Lavora per i “Diari” (un insieme di quotidiani italiani). Un suo reportage sui campi di addestramento dei Palestinesi pubblicato su “Paris Match” nel 1968 fa il giro del mondo. A differenza di Graziella, è già stato in quell’area critica del mondo: la conoscenza lo rende più sicuro e, forse, più “spericolato” (una volta scampò miracolosamente ad una situazione molto difficile).

Graziella collabora con Paese Sera e con L’Astrolabio (la rivista fondata a Roma nella primavera del 1963 da Ernesto Rossi e da Ferruccio Parri che fu anche il suo primo direttore). Cerca e scrive in particolare di traffici di armi, settore “pericoloso”, come sappiamo bene. Per Paese Sera, diretto da Giuseppe Fiori, racconterà a puntate di come, in vario modo, i servizi di intelligence italiani svolgano un ruolo importante nello smistamento di armi prodotte in Italia destinate all’Africa e al Medio Oriente, una zona sempre tormentata da conflitti. Pochi mesi prima di quel viaggio in Libano scrive l’ultimo e forse il più famoso articolo dal titolo eloquente: «False vendite, spie, società fantasma: così diamo armi».

Sono due giornalisti che si incontrano e decidono di lavorare insieme. Scriveranno anche un libro su Che Guevara pubblicato da Mazzotta nel 1978.

Hanno la passione di capire che cosa succede nel mondo, un comune interesse per il Medio Oriente e così proprio quell’estate decidono di organizzare un viaggio-inchiesta in Libano.  Sanno di andare in un Paese difficile, denso di contrasti, drammi che ancora lo percorrono nella sua “unicità”.  «Il Libano è più che un Paese: è un messaggio di convivenza tra diverse religioni e confessioni» (come disse papa Giovanni Paolo II alla fine della guerra civile 1975/1990).

Sono due giornalisti che forse non sanno tutti e due quanto il 1980 sia un anno molto difficile per il Libano: la guerra civile iniziata cinque anni prima investe tutta l’area mediorientale. In Libano si concentra il conflitto internazionale arabo-israeliano: la Siria aveva occupato il Libano nel ’77; nel marzo 1978 sarà Israele ad occupare quel territorio una prima volta con l’operazione denominata “Litani” e con l’obiettivo di distruggere le infrastrutture dell’OLP. Bašīr Jumayyil, leader falangista della comunità maronita e del Fronte Libanese, simbolo dell’estremismo di destra si allea con Israele: viene meno l’idea di costituire un Comitato di Salvezza Nazionale cui avrebbero preso parte tutti i gruppi libanesi e portato all’evacuazione di tutte le forze straniere presenti.

Le relazioni tra Jumayyil e Tel Aviv si intensificano e diventano il perno dell’azione di Israele in Libano prima con la battaglia di Zahlek e poi durante la seconda invasione di Israele denominata "Pace in Galilea”, dando inizio alla quinta guerra arabo-israeliana. Sarà particolarmente cruenta e crudele: basta ricordare la strage di Sabra e Chatila 16/18 settembre 1982. Migliaia di persone donne e bambini massacrati: obbligheranno il ritorno in Libano della forza multinazionale d’interposizione dell’ONU dopo la condanna del Consiglio di Sicurezza che il 16 dicembre 1982 condanna il massacro definendolo un «atto di genocidio».

Questa la situazione solo tratteggiata, di cui si capisce la complessità e il rischio a cui Graziella e Italo vanno incontro quando partono  per raggiungere Beirut.

E la Beirut che si trovano davanti è una città divisa in due dalla cosiddetta linea verde che si snoda lungo una grande arteria: la via di Damasco. La linea verde, smantellata solo nel 1990, divide la capitale in due aree: la zona cristiana a Est, la musulmana a Ovest.

Sono due giornalisti free lance. E’ Nemer Hammad, rappresentante dell’OLP in Italia, ad aiutarli ad organizzare e sostenere il loro viaggio. Saranno ospiti di Al Fatah (acronimo inverso di Harakat al-Tahrir al-Filistini – Movimento di liberazione palestinese), principale organizzazione dell’OLP.

E’ così che arrivano a Beirut il 23 agosto del 1980. L’unica traccia certa che abbiamo di loro, ricorderà Andrea Purgatori sul Corriere della Sera 20 anni dopo, un telegramma da Damasco il giorno prima firmato Graziella: «Au revoir», arrivederci. E poi…più nulla. Si saprà un’altra cosa certa. La mattina del 2 settembre all’hotel Triumph dove alloggiano una macchina arriva a prenderli: nessuno sa da chi sia stata inviata, e neppure dove siano diretti. Si sa che il giorno prima si recano all’ambasciata e incontrano due consiglieri, forse l’Ambasciatore e anche Corrado Cantatore capitano dell’Unifil. Sono preoccupati: «Se tra tre giorni non siamo rientrati in albergo, date l’allarme» Sono le loro parole.

Sembra (Da un’inchiesta di Paese Sera 1983) che il 29 e 30 agosto si siano recati a Zahlek, cittadina tra Beirut e Damasco, un centro di libero mercato di droga e uno sterminato deposito di armi vendute dalla Nato ai falangisti, l’estrema destra libanese. I palestinesi qui non hanno accesso. Zahlek è stata al centro di una violenta battaglia, persa dalla Siria, iniziata nella primavera del 1980 e forse ancora in corso in quei giorni di fine agosto (siamo nel pieno della guerra civile e alla vigilia della seconda invasione Israeliana del Libano).

Sono andati davvero in questa città e a fare che cosa? Oppure la “notizia” è falsa? O forse sono andati là quel 2 settembre dopo essere stati all’ambasciata? E per questo viaggio dunque erano preoccupati. E forse proprio lì sono spariti?

Il 15 settembre, dopo giorni di angoscia, la famiglia di Graziella si mette in contatto con Damasco e poi con l’ufficio dell’OLP: le notizie non arrivano. L’ambasciata dichiara dispersi i due free lance il 29 dello stesso mese e solo agli inizi di ottobre il Ministero degli Esteri decide di aprire un’indagine. Ne affida però la guida, al capo del Sismi: il generale Giuseppe Santovìto, che sarà allontanato qualche anno dopo perché iscritto alla Loggia P2, e a quel colonnello, responsabile del SISMI  a Beirut , Stefano Giovannone, frequentatore di “cattive” compagnie e coinvolto nel loschi traffici di armi come Graziella aveva denunciato. Si parla di sequestro attribuito alle milizie di "Al Fatah", ma i palestinesi negano ogni responsabilità indicando e accusando invece i cristiano maroniti del quartiere ovest.

In questa storia tragica si racconta tutto e anche il contrario. Compaiono personaggi strani, contradditori e falsi. Edera Corra, per esempio, è una “strana” giornalista che arrivando a Beirut si fa passare per Graziella. Qualche tempo dopo rivelerà ai familiari che all’obitorio ci sono i cadaveri di Graziella e Italo, notizia subito smentita dal capo del SISMI Giuseppe Santovito alle famiglie: «Sono andato a controllare di persona! (dichiara), ci sono 5 cadaveri: 4 uomini e una donna ma tutti di etnia mediorientale».

Sono due giornalisti e le loro famiglie non hanno ancora avuto i loro corpi per una misericordiosa sepoltura. Ci vorranno più di quattro anni per avere gli effetti personali derubati delle cose più importanti: macchine fotografiche e quaderni di appunti.

Per le famiglie di Antonio e di Graziella la Via Crucis dopo quarant’anni non è ancora finita.

Anche su questa triste vicenda incombe l’ombra minacciosa dei servizi segreti, quelli ufficiali, non solo quelli deviati che in quegli anni proliferano. Costruiranno false piste. Una in particolare colpisce per la sua criminale macchinosità. Il 2 agosto 1980 (venti giorni prima della partenza di Graziella e Italo per Beirut) una bomba fascista scoppia nella sala d’aspetto della stazione di Bologna: 85 morti più di 200 feriti. Si sanno molte cose di quella strage per quanto riguarda la firma moventi esecutori e anche qualche responsabilità eccellente. Sappiamo che c’era anche una pista “libanese” costruita da pezzi della nostra intelligence e che sovrasta la bomba di Bologna (considerata nelle plurime inchieste un depistaggio) e la scomparsa dei due giornalisti in Libano appunto, un mese dopo esatto: il 2 settembre!

In un documento ufficiale della commissione d’inchiesta sull’operato dei servizi (2005) a proposito della pista Libanese si legge:

«Italo TONI e Graziella DE PALO, dunque, furono sacrificati sull’altare dei “patti inconfessabili” tra entità italiane e terrorismo palestinese. È proprio per coprire e tutelare questi “accordi” che i vertici del nostro servizio segreto militare furono costretti a creare una vera e propria “pista alias” che, attraverso un gioco di specchi duplicanti, doveva determinare (semmai gli inquirenti avessero rivolto le loro attenzioni in quella direzione) la deviazione dell’inchiesta in un luogo e su contesti opposti e speculari a quelli che costituivano la verità. Questo vale … per la strage di Bologna e per la sparizione dei due giornalisti.…Più di un depistaggio, quella “strategia” del SISMI si manifestava come un vero e proprio labirinto di riflessi deformanti o, come stigmatizza il pubblico ministero (che si occupa dell’inchiesta sulla sparizione dei due giornalisti ndr) Giancarlo ARMATI, come un “complesso sistema di offuscamento e depistamento delle indagini” che metteva a disposizione dei magistrati inquirenti uno scenario internazionale (con Beirut al centro della scena) e gruppi terroristici di destra con collegamenti tra Italia, Germania e Francia».

I famigliari di Graziella e Italo chiedono da sempre il disvelamento completo del segreto di Stato su tutti i documenti, tutti anche quelli scomodi riferiti forse a una sorta di “patto segreto” tra la nostra intelligence e l’OLP di Arafat: un riconoscimento in cambio di sicurezza per l’Italia da atti terroristici; quello di Fiumicino del 17 dicembre 1973 con 34 morti è una ferita ancora aperta. Deve tutto rimanere segreto e protetto per evitare che eventuali iniziative giudiziarie possano svelare quel delicato sistema di equilibri internazionali (e inconfessabili realtà negoziali) che vedevano Beirut quale epicentro.

Una pista, questa, che servirà perfino a ipotizzare che Italo Toni sia un informatore/collaboratore dei servizi, perché conoscitore della questione palestinese.

Nel 1982 compare dentro questa vicenda Elio Ciolini, un noto neofascista piuttosto esperto di depistaggi che racconta la “sua” verità: i due giornalisti scoprono per caso nella sede dell’OLP, riuniti insieme, un ministro italiano un terrorista neofascista, un dirigente della OTO Melara e alcuni leader palestinesi: è la loro condanna a morte..”(Corriere della Sera 2 settembre 2000).

Sono due giornalisti: nel mistero della loro scomparsa ci sono elementi simili in tanti “misteri italiani” che misteri non sono.

Prendiamo l’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin a Mogadiscio il 20 marzo 1994. Sappiamo che la mano dei servizi segreti, non solo italiani, attraversa pesantemente la tragedia di Ilaria e Miran che rimane ancora senza giustizia dopo che un cittadino innocente è rimasto 17 anni in carcere: depistaggi ripetuti fin dai giorni del duplice assassinio.

E queste similitudini si ritrovano in altre stragi o delitti.

Nei mesi scorsi, a seguito di una segnalazione della famiglia De Palo, il caso è stato ufficialmente riaperto dalla Procura di Roma. Le indagini sono ora affidate al procuratore aggiunto Francesco Caporale e al sostituto Francesco Dall’Olio.

Giulio Vasaturo, legale della FNSI e di Aldo Toni, fratello di Italo ha così replicato al nuovo diniego del Presidente del Consiglio all’accesso al dossier riguardante i due giornalisti: «A quarant’anni dalla scomparsa di Italo Toni e Graziella De Palo non vi è alcun motivo plausibile in grado di giustificare questa reticenza di Stato. Tutti i personaggi coinvolti in questa oscura vicenda sono morti… C’è qualcuno, evidentemente … che vuol impedire che si giunga a conoscere la verità sulle circostanze in cui furono uccisi Italo e Graziella e sui depistaggi che ne conseguirono che, com’è noto, coinvolsero direttamente il Sismi. Abbiamo incontrato di recente il Presidente della Camera Roberto Fico, su iniziativa della FNSI: abbiamo chiesto un impegno affinché la nostra Repubblica non abbia più nessun segreto. C’è stata disponibilità anche su questo caso tragico. Attendiamo segnali concreti. Non è possibile che di Graziella e Italo spariti, assassinati 40 anni fa non si rendano noti il perché, il dove, gli esecutori, i mandanti, i depistatori».

Non è possibile che le famiglie non abbiano avuto neanche i loro corpi: nemmeno l’umana pietà… Cento anni fa, 1° settembre 1920 (come ha ricordato Alberto Negri sul Manifesto dopo la drammatica esplosione al porto di Beirut), la Società delle Nazioni affidò al controllo della Francia la Grande Siria, comprese le cinque province che oggi costituiscono il Libano che arrivò all’indipendenza nel 1943 quando la Francia era occupata dai nazisti. Cento anni non sono pochi ma neanche tanti per ri-costruire un paese come il Libano con la sua storia: forse la sua crisi che è andata aggravandosi negli anni ha origine proprio dalla sua costituzione senza una identità ma un insieme di comunità religiose tra cristiani e musulmani che non sono riusciti a fare del Libano «più di un paese, un messaggio di convivenza tra diverse religioni e confessioni»: una vocazione  che resta ancora un sogno, almeno per il momento visto che la soluzione necessaria della questione Palestina-Israele rimane ancora lontana: fino a che non si riconosceranno due popoli due stati e Gerusalemme città di tutti e del mondo intero.

Per gentile concessione sito articolo21.org

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