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Storica vittoria del diritto di asilo: un visto d’ingresso in Italia per richiedere protezione

Respinti illegalmente in libia, cinque eritrei sono arrivati ieri all’aeroporto di fiumicino con un visto d’ingresso per chiedere protezione

Sono arrivati ieri all’aeroporto di Fiumicino cinque cittadini eritrei a cui il Tribunale di Roma ha riconosciuto il diritto a fare ingresso sul territorio mediante il rilascio di un visto con lo scopo di accedere alla domanda di protezione internazionale, dopo che l’Italia li aveva soccorsi con una nave della Marina militare nel mar Mediterraneo e illegalmente respinti in Libia nel 2009.

Amnesty International Italia e Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) hanno celebrato e accolto un arrivo dall’eccezionale portata simbolica, che ripristina la legalità in relazione al diritto di asilo sancito dall’articolo 10 della Costituzione, leso dalle autorità italiane che da anni effettuano azioni volte a bloccare l’accesso di tutti coloro che tentano attraverso il Mediterraneo di arrivare ed ottenere protezione.

Assistiti dagli avvocati Cristina Laura Cecchini e Salvatore Fachile di Asgi e sostenuti dalla documentazione fornita da Amnesty International Italia, avevano presentato ricorso al Tribunale civile di Roma che, il 28 novembre 2019, con la sentenza 22917, ha dichiarato illegittimo il respingimento, ordinato il rilascio di un visto d’ingresso per permettere di accedere alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale e ha condannato le autorità italiane al risarcimento del danno.

La sentenza afferma che al fine di rendere effettivo il diritto di asilo è necessario “espandere il campo di applicazione della protezione internazionale volta a tutelare la posizione di chi, in conseguenza di un fatto illecito commesso dall’autorità italiana si trovi nell’impossibilità di presentare la domanda di protezione internazionale in quanto non presente nel territorio dello Stato, avendo le autorità dello stesso Stato inibito l’ingresso, all’esito di un respingimento collettivo, in violazione dei principi costituzionali e della Carta dei diritti dell’Unione europea.”

Hanno così ottenuto finalmente giustizia e il rispetto dei propri diritti coloro che, nel 2009, in un gruppo di 89 migranti e richiedenti asilo, erano stati ricondotti dalle autorità italiane in Libia, dove erano stati esposti nuovamente a trattamenti inumani e degradanti, violenze e torture. 

Dopo l’arrivo sul territorio libico, infatti, tutte le persone erano state detenute, e solo dopo lunghi mesi di prigionia erano state rilasciate. Alcune di loro, nonostante il rischio di essere nuovamente respinte, avevano tentato nuovamente la traversata del Canale di Sicilia. Alcuni hanno perso la vita in naufragi negli anni successivi, mentre altri ancora sono riusciti a raggiungere le coste italiane e ad arrivare in altri paesi, come la Germania e la Svizzera, dove hanno ottenuto la protezione internazionale.

Sedici di loro, tutti cittadini eritrei, decisero di non correre nuovamente i rischi di un viaggio in mare e di tentare di raggiungere l’Europa via terra. Dopo aver attraversato l’Egitto e il deserto del Sinai, arrivarono in Israele. 

Per circa 10 anni questi 16 cittadini eritrei sono rimasti bloccati in Israele, dove il loro diritto a richiedere asilo non è rispettato e col rischio costante di essere rimandati verso paesi africani che avevano stretto accordi bilaterali con Israele, come Uganda e Ruanda.

Il 25 giugno 2016 hanno promosso l’azione legale presso il Tribunale civile di Roma nei confronti della presidenza del Consiglio e dei ministeri degli Affari esteri, della Difesa e dell’Interno dello stato italiano. Il 28 novembre 2019, la già citata storica sentenza.

“Siamo felici di essere qui. Abbiamo ripreso ad avere fiducia nella giustizia ora speriamo di avere la protezione di cui abbiamo bisogno”, ha dichiarato uno dei cinque cittadini eritrei atterrati oggi a Fiumicino.

“Finalmente si restituisce valore legale agli obblighi di protezione sanciti dall’art 10 della Costituzione. Questo arrivo rappresenta un precedente importante perché per la prima volta le autorità italiane sono costrette a garantire l’ingresso sul territorio per accedere alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale e questo avviene non già in ragione di una concessione umanitaria ma dell’affermazione di un diritto di cui queste persone sono titolari. Sono evidenti le ricadute di tali principi verso tutte quelle politiche volte ad implementare il sistematico svuotamento degli obblighi di protezione e quanto mai attuale in questo momento storico”, hanno affermato Cristina Laura Cecchini e Salvatore Fachile avvocati di Asgi.

“Illegittimamente respinti in Libia dall’Italia nel 2009, oggi grazie a una sentenza della giustizia italiana cinque richiedenti asilo eritrei sono arrivati nel nostro paese nel modo più sicuro e legale possibile. Ciò che dovrebbe essere garantito a tutti coloro che sono stati costretti a fuggire dai loro paesi a causa di conflitti, persecuzione politica e altre violazioni dei diritti umani”, ha aggiunto Ilaria Masinara, campaign manager su migrazione e discriminazione di Amnesty International Italia. 

Dopo il periodo di quarantena previsto dalle norme vigenti, i cinque cittadini eritrei potranno finalmente avvieranno la procedura per chiedere all’Italia il riconoscimento della protezione internazionale ed ottenere, finalmente, tutti i diritti che ne conseguono. 

Nei prossimi mesi dovranno giungere in Italia anche altre tre dei respinti, oggi sostenuti dall’organizzazione non governativa Assaf,  che sono ancora bloccati in Israele in ragione del fatto che hanno costruito una famiglia. È stata infatti avanzata la richiesta per permettere l’ingresso anche di moglie e figli a seguito viste le condizioni in cui si trovano sul territorio israeliano e i rischi connessi e si è in attesa delle determinazioni dell’autorità consolare. Nel 2009, 89 persone (75 uomini, nove donne e tre bambini) partirono dalle coste libiche a bordo di un’imbarcazione con l’obiettivo di arrivare in Italia e in altri paesi europei per chiedere asilo. Fuggivano da paesi dove subivano gravi persecuzioni e violazioni dei diritti umani, tra cui l’Eritrea. Molti di loro non sono mai arrivati in Europa.

Assiepate, con poche provviste e poca benzina, dopo tre giorni e numerose avarie e il definitivo spegnimento del motore, le persone a bordo lanciarono un SOS. A bordo del gommone la situazione era estremamente critica: la scarsità d’acqua, la fatica del viaggio e la condizione di salute di alcuni avevano fiaccato la resistenza del gruppo.

Solo nel tardo pomeriggio del 1° luglio, quando ormai quasi ogni speranza era svanita, finalmente arrivarono i soccorsi: dapprima un elicottero e poi alcune motovedette, seguite da un’imbarcazione della Marina militare italiana. Il personale della nave li rassicurò che presto sarebbero arrivati in Italia. 

Solo alle prime luci dell’alba del giorno seguente qualcuno si accorse che l’imbarcazione stava per raggiungere nuovamente le coste della Libia. Senza che ad alcuno fosse stato consegnato un provvedimento di respingimento né fosse stato consentito di lasciare traccia della propria volontà di richiedere asilo in Italia, le 89 persone furono riconsegnate, anche mediante l’uso della forza, alle autorità libiche che, dopo averle ammanettate, li riportavano a Tripoli. A bordo delle motovedette libiche anche personale della guardia di finanza italiana. Alcune delle persone a causa della violenza subita necessitavano di essere ospedalizzate, tutte le altre venivano nuovamente rinchiuse nei centri di detenzione per migranti dove sono rimaste per lunghi mesi. 

Dopo molti mesi di prigionia in condizioni inumane e degradanti, tra violenze e torture, le 89 persone furono finalmente rilasciate una ad una. 

Alcune di loro, nonostante il rischio di essere nuovamente respinte, ritentarono la traversata del Canale di Sicilia. Altre persero la vita in naufragi negli anni successivi. Altre ancora riuscirono a raggiungere le coste italiane e ad arrivare in altri paesi, come la Germania e la Svizzera, dove hanno ottenuto la protezione internazionale.

Sedici di loro, tutti cittadini eritrei, decisero di non correre nuovamente i rischi di un viaggio in mare e di tentare di raggiungere l’Europa via terra. Dopo aver attraversato l’Egitto e il deserto del Sinai, arrivarono in Israele. Fu la fine del viaggio. 

Per anni questi 16 cittadini eritrei sono rimasti bloccati in Israele, dove il loro diritto a richiedere asilo non è rispettato e col rischio costante di essere rimandati verso paesi africani che avevano stretto accordi bilaterali con Israele, come Uganda e Ruanda.

Hanno fatto ingresso oggi, 30 agosto 2020 le prime 5 persone del gruppo. Rimangono ancora bloccati sul territorio israeliano 3 dei respinti che nel frattempo hanno costruito famiglia. Gli stessi hanno infatti fatto richiesta di poter entrare con la moglie e i figli minori a causa della situazione di pericolo in cui si trovano in Israele e sono in attesa della decisione dell’autorità consolare.  Gli stessi continuano ad essere supportati da Amnesty International e dall’organizzazione non governativa ASSAF (Aid Organization for Refugees and Asylum Seekers) che ha fornito assistenza e sostegno materiale. 

Desta proeccupazione la circostanza che negli anni di attesa della decisione del Tribunale che ha reso giustizia sul caso, alcuni dei cittadini eritrei bloccati sul territorio israeliano sono rimasti vittime delle durissime politiche di contrasto all’immigrazione poste in essere dal Governo e dopo lunghi periodi di detenzione sono stati rimpatriati facendo perdere le loro tracce. Si continuerà a cercarli per poter garantire anche a loro finalmente la protezione che meritano. 

Associazione studi giuridici sull’immigrazione e Amnesty International Italia si sono subito attivate per rintracciare i 16 eritrei e hanno promosso un’azione legale presso il Tribunale civile di Roma nei confronti della presidenza del Consiglio e dei ministeri degli Affari esteri, della Difesa e dell’Interno.

L’azione, in favore di 14 dei 16 eritrei, è stata patrocinata dagli avvocati  Cristina Laura Cecchini e Salvatore Fachile di Asgi, mentre Amnesty International ha fornito sostegno, attraverso documenti e ricerche necessari per istruire la causa.

Nella causa intentata il 25 giugno 2014, i ricorrenti chiedevano l’affermazione del loro diritto a fare ingresso in Italia per accedere alla protezione internazionale e  il risarcimento dei danni subiti a seguito del respingimento illegale. 

Il 28 novembre 2019, con la sentenza 22917, la prima sezione del Tribunale civile di Roma ha dato ragione ai ricorrenti, ordinando il rilascio di un visto di ingresso per poter accedere alla procedura di asilo condannando il governo al risarcimento dei danni materiali.

Secondo il Giudice affermare il diritto all’ingresso sul territorio dello Stato di chi non ha potuto fare ingresso è l’univo modo per non determinare un vuoto di tutela inammissibile in un sistema che a più livelli riconosce e garantisce il diritto di asilo nelle sue diverse declinazioni.

Per la prima volta, quindi, viene rilasciato un visto di ingresso al fine di permettere a qualcuno di accedere alla procedura di protezione in ragione dell’affermazione di un diritto della persona e non in ragione di una mera concessione umanitaria da parte dello Stato

La decisione è più che mai attuale nel contesto attuale che implementa forme di respingimento sempre più celeri  e numericamente rilevanti sia alle frontiere terrestri che marittime, svuotando illegittimamente il diritto di asilo con prassi illegittime come quelle che accrescono la difficoltà nell’accesso ad una informazione adeguata sulla possibilità di manifestare la volontà di richiedere asilo e impediscono di fatto a rifugiati e richiedenti asilo di vedere registrata la propria volontà di richiedere protezione e quindi subire una riammissione nel proprio paese di origine a rischio di subire trattamenti disumani e degradanti e persecuzioni di vario genere.  

La sentenza apre inoltre  uno scenario estremamente interessante in relazione alle politiche di esternalizzazione della frontiera e di gestione della rotta mediterranea attuata attraverso la collaborazione con le autorità libiche.

È evidente, infine, che ove fosse accertata una responsabilità delle autorità italiane nell’attuazione dell’insieme di misure che hanno trasformato i respingimenti in una progressiva delega alla Libia per il blocco dei migranti, con i medesimi risultati in termini di mancato accesso alla protezione, migliaia di persone potrebbero essere interessate dai principi contenuti nella sentenza.

Photo by Phil Mosley on Unsplash

Da asgi.it

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