Scuola on-line: bene nell’emergenza ma ora si torni alla normalità didattica
24 giugno 2020
La crescita degli individui può avere luogo solo in una dimensione di aggregazione e di presenza
La scuola on-line, tutto sommato, ha retto. Questo grazie al suo funzionamento precedente che, sia pure tra mille difficoltà e problemi, ha creato una struttura in grado di resistere a una brusca svolta dovuta a cause impreviste e imprevedibili. Così non mancano coloro che pensano che ci sarebbe un bel risparmio se questo sistema fosse esteso anche a tempi normali. Un risparmio sulla scuola fa sempre piacere a qualcuno. Un conto, tuttavia, è una capacità di resilienza, cioè di resistenza a un urto improvviso; altra cosa è l’adozione di misure eccezionali per il funzionamento quotidiano di un’istituzione. Chi lo fa presente desta il sospetto di voler salvare il posto di lavoro degli insegnanti, ma non è così.
Vediamo, allora, perché la scuola on-line non può diventare il modello generale dell’istruzione, non solo per motivi di socializzazione e di rapporti umani, ma anche per motivi didattici. Riconosciamo che la didattica è stata talvolta trascurata anche con pseudoriforme improvvisate magari all’insegna della “buona scuola”. Allora, perché la scuola on-line non può diventare il modello corrente della formazione delle giovani generazioni anche da un punto di vista didattico?
Innanzitutto perché la “lezione” non può essere solamente frontale tra docente e alunni tanto più se per “frontale” si intende esclusivamente come “verbale” o, al massimo, animata con la proiezione di qualche audiovisivo. Una delle novità importanti sperimentate nei decenni passati è quella del sistema dei laboratori. Un modesto laboratorio di fisica era presente in passato anche in istituti poveri come l’Istituto magistrale, talvolta scelto come “liceo dei poveri” per la sua durata di soli quattro anni invece dei cinque delle altre scuole superiori. Ma la pedagogia del Novecento ha indirizzato questo sistema anche ad altre discipline e soprattutto in vista dell’interdisciplinarità della formazione. Così sono stati creati laboratori linguistici, di studio di ambiente, naturalmente di attività musicali e di altre singole discipline.
Un altro momento non trasferibile on-line realizzato negli ultimi decenni è quello delle classi aperte, cioè dei momenti, soprattutto per attività di integrazione come la ricerca d’ambiente sul territorio, che si possono meglio effettuare superando la struttura rigida di classe con attività di gruppo – interclasse o di parti di classe –. La lettura della città e, appunto, la ricerca, magari come “antipedagogia” secondo l’espressione di uno dei maggiori pedagogisti italiani del secolo scorso, possono avvenire solo nel vivo. La pedagogia tradizionale è spesso concepita come mezzo di trasmissione di conoscenze da chi le possiede a chi deve acquisirle. La ricerca, invece, è mezzo di acquisizione non tanto e non solo di nozioni, quanto di abilità e di competenze nel ricercare sia le nozioni sia la capacità di decidere che cosa si vuole imparare e come ci si vuole comportare.
Ancora: una preziosa esperienza entrata nella scuola negli ultimi decenni è quella della compresenza di più di un docente nell’attività didattica. Indispensabile in vista del sostegno delle classi con alunni diversamente abili (delle classi e non del singolo alunno con difficoltà sempre separato dagli altri!), la periodica compresenza è efficace e positiva se la si attua periodicamente anche in altri casi: per esempio per leggere la città o altro ambiente.
Nella lezione on-line è facile lo scivolamento degli insegnanti verso atteggiamenti individualistici e verso settori stagni delle varie discipline. Le esperienze migliori dei decenni passati hanno avuto come stimolo il confronto e l’aggiornamento dei docenti. Molti ricordano come periodo d’oro quello dei “corsi abilitanti” e quello dei soggiorni di Scuola ambientale promossi dalla Regione Piemonte e dall’Istituto regionale per la sperimentazione e l’aggiornamento educativo a Pra Catinat (in alta val Chisone – To).
Un bel sogno sarebbe quello di una scuola con tutti gli insegnanti presenti e nominati all’inizio dell’anno scolastico fin dal primo giorno. Quello di una prima settimana senza alunni per l’aggiornamento e il confronto fra docenti. Un affiancamento per alcuni mesi dei nuovi pensionati all’insegnamento nelle classi che lasciano. Una scuola che sappia valutare gli alunni senza cincischiare tra voti numerici e giudizi che vogliono dire la stessa cosa in due modi diversi (6 = sufficiente; 7 = buono; 8 = distinto ecc.: valutazione sommativa), ma che sappia esprimere giudizi che valorizzino le possibilità di sviluppo indicando percorsi appropriati (valutazione formativa). Non ci sarebbero grossi aggravi di costo per un’istruzione che razionalizzi l’uso delle risorse di cui, al di là degli stereotipi, la scuola italiana è piuttosto ricca.