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«Zoombombing» alla chiesa metodista di Bologna

Ieri mattina il culto comunitario che si stava svolgendo sulla piattaforma Zoom è stato disturbato da un attacco hacker

Ne avevamo parlato circa un mese fa qui ma non avremmo mai immaginato che potesse accadere ad una delle nostre comunità. Invece ieri mattina la chiesa metodista di Bologna è stata oggetto di Zoombombing mentre svolgeva il suo culto domenicale sulla piattaforma Zoom. 

«Il culto era cominciato da circa mezz’oretta – ci racconta Richard Ampofo, vicepresidente del Consiglio di chiesa e predicatore locale –. Come ormai accade da oltre due mesi, eravamo circa 35 persone collegate. Ad un certo punto, mentre cantavamo un inno, ho cominciato a sentire prima come delle campane, poi il suono assordante di alcune batterie. Credevo che qualcuno avesse lasciato la televisione accesa in sottofondo… ma poi sono cominciate ad apparire delle scritte sullo schermo così velocemente che era impossibile leggerle e poi delle immagini porno. Alcuni fratelli e sorelle di chiesa, che hanno capito che era in corso un attacco hacker, hanno cominciato a urlare di chiudere subito il collegamento».

Così è andata. La sorella Pamela Macho, che gestisce il collegamento Zoom e si occupa di preparare i PowerPoint dei canti e delle letture bibliche da condividere sullo schermo, ha prontamente staccato la connessione. «L’attacco hacker non è durato più di due minuti – ci racconta Pamela, proveniente dal Camerun e membro della chiesa metodista di Bologna da più di vent’anni –. Erano più di due mesi che facevamo il culto sulla piattaforma Zoom e non immaginavo che tale problema potesse succedere a noi». I dati di accesso per partecipare al culto erano disponibili a tutti e, non essendo stata predisposta la «waiting room», è stato facile per gli hacker accedere all’evento in corso. «Tutti erano giustamente agitati – aggiunge Pamela – ma ho subito predisposto la “waiting room” e a poco a poco ci siamo connessi nuovamente per continuare il nostro culto». Un paio di contatti presenti nella “sala di attesa”, non hanno chiarito la propria identità e non sono stati ammessi al culto… forse erano gli hacker. 

«Alcuni fratelli e sorelle, soprattutto i più anziani, sono rimasti scossi dall’incidente e hanno avuto paura a riprendere il culto – prosegue Richard Ampofo –. Ma io ho incoraggiato tutti ad andare avanti: dopo un momento di silenzio, c’è stato un canto intonato da mia moglie che ci ha preparato all’ascolto della predicazione. L’esperienza che abbiamo vissuto ci ha insegnato che non vanno sottovalutati i rischi legati alle videoconferenze, ma sarebbe un errore rinunciare a questo strumento che ci ha permesso nel periodo di lockdown di celebrare non solo i culti ma anche di riunirci per altre importanti attività comunitarie».

L’incidente accaduto alla chiesa di Bologna mette in guardia non solo le chiese ma anche altri soggetti (biblioteche, librerie, associazioni culturali…) che stanno utilizzando Zoom, una delle App per videoconferenze più usate nel mondo. È importante attivare le funzionalità di sicurezza: proteggere gli incontri con una password e avviare la “sala di attesa” (waiting room); inoltre, è consigliabile evitare di condividere il link di accesso a videoconferenze su social network che chiunque può vedere. Poche ma utili precauzioni per evitare di buttare il bambino con l’acqua sporca.

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