La sfida di imparare a “perdere con gratitudine”
12 maggio 2020
Un'anziana correttrice di bozze protagonista di un recente romanzo francese
Michka, così ama farsi chiamare Michèle Seld, è un’anziana affetta da parafasia, disturbo del linguaggio che causa lo scambio di termini esatti con termini sbagliati, a volte inventati, scombina l’ordine di parole e sillabe. Non potendo più vivere da sola, Michka ha presentato domanda per entrare in una casa si riposo e, facendo la difficile cernita delle cose che le sono care, aspetta con ansia il giorno in cui dovrà lasciare definitivamente il suo alloggio. Il momento tanto temuto arriva. Michka si ritrova in un mini-appartamento carino ma anonimo in cui entra continuamente qualcuno che dà l’impressione di spiarla. Soprattutto non dovrà conoscere il suo segreto: una scatola di pillole e una bottiglia di liquore accuratamente nascosti in un armadio a muro. Riuscirà a servirsene quando ne avrà bisogno?
Per cercare di ovviare ai suoi problemi di linguaggio, Michka accetta di incontrare due volte alla settimana Jérôme, il giovane ortofonista che presta servizio nella casa e che entra subito in perfetta sintonia con lei. Michka è una persona colta, ha lavorato a lungo come correttrice di bozze in un giornale, ha voglia di reimparare a parlare correttamente, non vuole essere compatita più di tanto, non sopporta che alcune “os” le si rivolgano con un linguaggio sdolcinato e pieno di diminutivi. Il legame, molto tenace, che si crea tra lei e Jérôme, è quasi filiale Il giovane, orfano di madre, non le nasconde di avere dei problemi a relazionarsi col proprio padre.
Nella vita di Michka c’è una seconda persona, conosciuta da sempre: è Marie, la figlia di una sua vicina molto stramba, di cui le si occupava quando, da bambina, era sola. Per sua stessa ammissione Michka giovane non aveva alcuno spirito materno o di famiglia ma la bimba che suonava da lei in cerca di compagnia e affetto l’aveva sedotta. Marie viene a trovarla, ascolta le sue lamentele, l’incoraggia fino al giorno in cui le annuncia di essere incinta. Il suo compagno la lascerà per ripartire all’estero. Convinta da Michka, lei terrà però il bimbo.
Con il passare del tempo, nonostante l’impegno profuso e la guida di Jérôme, Michka non migliora molto, sente il suo fisico indebolirsi e prova sempre più pressante il bisogno di ricuperare una fetta del suo passato. Vorrebbe avere notizie della famiglia che, durante la seconda guerra mondiale, aveva nascosto lei, bimba ebrea, e ringraziarla. Jérôme, a cui ne parla, si mette alla ricerca e riesce a rintracciare Madeleine, la figlia della coppia e la madre, novantanovenne ma ancora lucida e ospite anche lei di una casa di riposo.
La missione di Jérôme è compiuta. La famiglia sa che Michka le è eternamente riconoscente e lei, Michka, è appagata. Il suo “grazie” aveva una motivazione molto importante ma quanti sono, nell’esistenza di ciascuno di noi, i grazie in parole e gesti, disattesi per distrazione o mancanza di tempo? I tre personaggi del romanzo, che non si incontrano mai tutti insieme e i cui dialoghi danno al testo il ritmo di una pièce teatrale, sono anch’essi uniti da legami di gratitudine personale.
Ma in questo libro, di sole 160 pagine*, scritto in uno stile che non indulge a ricercatezze stilistiche e che limita le descrizioni all’essenziale, è anche ben presente il tema della vecchiaia, declinato da Jérôme, sotto forma di monologo, in tutte le sue sfaccettature negative: «Invecchiare è imparare a perdere, adattarsi a perdere la memoria, i propri riferimenti, le parole, l’equilibrio, il sonno, l’udito, la vista».Al termine della vita bisogna anche imparare a perdere con gratitudine, a dire merci prima che diventi merdi.
Delphine de Vigan ha già scritto molti romanzi, tradotti anche in italiano per Einaudi e Mondadori, ma il consiglio è di leggere Les gratitudes in lingua originale per cogliere e apprezzare le sottigliezze del linguaggio solo apparentemente sconclusionato di Michka.
* D. De Vigan, Le gratitudini (trad. di M. Botto). Torino, Einaudi, 2020, pp. 160, euro 17,50.