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Grazie, apriamo per ultimi

Riflessioni alla vigilia della riapertura dei luoghi di culto

Abbiamo letto in questi giorni dell'accordo che la Cei ha ottenuto per riaprire le Chiese Cattoliche e a breve probabilmente con simile protocollo (sanificazione, mascherine, distanziamento sociale etc) ne avremo uno anche per noi e per le altre minoranze religiose di questo paese.

Mi è spiaciuto di recente, come forse ad altri, leggere che anche la nostra Commissione delle chiese evangeliche per i rapporti con lo Stato (Ccers) abbia utilizzato l’espressione libertà di culto associato a delle restrizioni in questo tempo di corona virus.
Non penso, infatti, che né a noi né ad altri sia stata tolta alcuna libertà in questi mesi.
Non in questo caso specifico e non in modo diverso da quanto avviene già normalmente in tempi non segnati da questo pandemia. Penso che ci siano invece dei problemi più generali riguardo alla libertà religiosa in Italia, per esempio l'assenza di una legge organica sulla libertà religiosa in Italia, o al limite, l'assenza dell'intese per i musulmani o per altre minoranze. Se voglio guardare invece a ciò che è accaduto in questi ultimi due mesi penso invece allo spazio spropositato che una TV pubblica ha dedicato al Papa e ad una funzione religiosa in Piazza San Pietro con tanto di indulgenza plenaria. Sia chiaro, il problema per me non è il Papa che predica o ciò che dice - su molti punti condivisibile - bensì la Rai che lo manda in diretta. Ma anche questa, purtroppo, non è una novità.

Detto questo, credo che questa possibilità di apertura sia un po' prematura, soprattutto se guardo alla situazione in Piemonte e Lombardia e in genere nel nord Italia. Penso inoltre che sia comunque frutto di un "privilegio ecclesiastico" dovuto al “peso” politico della Cei. Dubito infatti che senza quella pressione politica le altre minoranze avrebbero avuto questa possibilità.
Posizione della Cei, i cui toni ricattatori non sono piaciuti a molti, e che peraltro è stata duramente contestata dall'interno e in qualche modo anche da Papa Francesco. Il risultato però, al netto delle posizioni più critiche, che possono soddisfare una certa fetta di cattolicesimo, mi pare sia comunque quello sperato e cercato dalla Cei.

Confesso che mi sarebbe piaciuto un atteggiamento diverso  da parte dei cristiani in generale e in particolare dalla chiesa di cui sono parte.
Noi come Chiesa Valdese, e io individualmente come credente, credo che possiamo metterci al servizio del prossimo nell'ottica di un cercare di uscire il minimo indispensabile e necessario. Ci sono oggi moltissimi che sono costretti, anche da logiche di un primato del profitto, ad uscire per andare a lavorare in fabbriche non sempre utili, come quelle degli armamenti ,o per produzioni che adesso non sono prioritarie.
Sappiamo benissimo che molte aziende hanno tenuto aperto sulla base di autocertificazioni con cui hanno intasato le prefetture che non hanno fatto alcun controllo sui dispositivi di sicurezza e sull'effettiva essenzialità della produzione proprio perché impossibilitate dal numero di autocertificazione arrivate a controllare tutti.
Sappiamo che molti hanno perso il lavoro, che molti come badanti, o addetti alle pulizie domestiche non lavorano e non hanno soldi da mesi, che molti stranieri sono e saranno sfruttati nei campi agricoli e con la promessa forse oggi di un misero permesso di soggiorno ma solo per 6 mesi.
Sappiamo che le partite iva non stanno incassando nulla da mesi e che molti degli aiuti promessi dal governo non stanno arrivando o arriveranno in quantità non adeguata
Sappiamo che molti esercizi commerciali chiusi hanno un sacco di spese e non incassano nulla; chi ha da poco aperto un negozio o un ristorante, ne conosco diversi, stanno mal messi. La stessa sorte stanno subendo gli operatori della cultura, dello spettacolo e del terzo settore.

 In questo contesto dove molti sono costretti inutilmente a lavorare e altri vorrebbero, ma non possono ancora, a noi, confessione religiosa di minoranza, viene invece permesso di aprire e questo penso ci debba spingere a qualche riflessione.

Io credo che mettersi al servizio degli altri voglia anche dire questo: se alcuni non possono fare a meno di uscire e di rischiare di fare ripartire una pericolosa pandemia, se siamo tutti insieme nel mondo secondo la logica che la salute dell'altro dipende dal mio senso di responsabilità, allora io ritengo che il nostro essere credenti si possa esprimere nella rinuncia ad esercitare questa possibilità che per altro abbiamo ottenuto grazie al peso politico della Cei, che evidentemente conta più dei cinema o dei teatri o delle scuole che sono ancora chiuse senza immaginare alcuna forma alternativa di gestione del reparto cultura istruzione.

Mi piacerebbe che noi dicessimo «Grazie, noi apriamo per ultimi», o in ogni caso quando ci sarà massima sicurezza, perché pensiamo che le esigenze di altri siano prioritarie rispetto alle nostre e, in una logica di mutua dipendenza, per quel che poco che conta, noi evitiamo di far circolare e radunare quelle poche migliaia di persone che siamo in Italia.

Penso che sarebbe un gesto che conta poco forse dal punto di vista numerico ma sarebbe importante dal punto di vista simbolico e della testimonianza che rendiamo. 

Non si tratta dunque di preferire il culto online, anzi, ma di dire: «noi ci accolliamo il culto online ancora per un po' anche se non ci piace tanto, lo facciamo in favore di chi oggi non può fare a meno di uscire perché altrimenti non arriva alla fine del mese». 

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